"La mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine.
Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni"
Giovanni Falcone
http://digilander.libero.it/inmemoria/lotta_alla_mafia.htm
"Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana."
(J. F. Kennedy; citazione che Giovanni Falcone amava spesso riferire)
La strage di Capaci (23 maggio 1992)
TUTTA LA CRONACA DELLA STRAGE nel seguente link
http://digilander.libero.it/inmemoria/strage_capaci.htm
GIOVANNI FALCONE
Il 29 luglio 1983 il consigliere Chinnici fu ucciso con la sua scorta, in via Pipitone Federico; lo sostituì Antonino Caponnetto che costituì il cosiddetto "pool antimafia", sul modello della strategia seguita precedentemente per la lotta al fenomeno del terrorismo politico.
Il 20 giugno '89 si verificò il fallito e oscuro attentato dell'Addaura presso Mondello dove fu trovata una bomba inesplosa destinata a Falcone; a proposito del quale Falcone affermò :
Intanto, fattisi più aspri i dissensi con l'allora procuratore P. Giammanco – Falcone accolse l'invito del vice-presidente del Consiglio dei ministri, Martelli, che aveva assunto l'interim del Ministero di grazia e giustizia, a dirigere gli Affari penali del ministero.
GIOVANNI FALCONE
Nato a Palermo il 20 maggio 1939 Giovanni Falcone conseguì la laurea in Giurisprudenza nell'Università di Palermo nell'anno 1961. Dopo il concorso in magistratura, nel 1964, fu pretore a Lentini per trasferirsi subito come sostituto procuratore a Trapani, dove rimase per circa dodici anni.
A Palermo, all'indomani del tragico attentato al giudice Cesare Terranova (25 settembre 1979), cominciò a lavorare all'Ufficio istruzione.
Il consigliere istruttore Rocco Chinnici gli affidò nel maggio '80 le indagini contro Rosario Spatola, vale a dire un processo che investiva anche la criminalità statunitense, e che, d'altra parte, aveva visto il procuratore Gaetano Costa - ucciso poi nel giugno successivo - ostacolato da alcuni sostituti, al momento della firma di una lunga serie di ordini di cattura.
Proprio in questa prima esperienza egli avvertì come nel perseguire i reati e le attività di ordine mafioso occorresse avviare indagini patrimoniali e bancarie (anche oltre oceano), e come, soprattutto, occorresse la ricostruzione di un quadro complessivo, una visione organica delle connessioni, la cui assenza, in passato, aveva provocato la "raffica delle assoluzioni".
Il 29 luglio 1983 il consigliere Chinnici fu ucciso con la sua scorta, in via Pipitone Federico; lo sostituì Antonino Caponnetto che costituì il cosiddetto "pool antimafia", sul modello della strategia seguita precedentemente per la lotta al fenomeno del terrorismo politico.
Del gruppo faceva parte, oltre lo stesso Falcone, e i giudici Di Lello e Guarnotta, anche Paolo Borsellino, che aveva condotto l'inchiesta sull'omicidio, nel 1980, del capitano del Carabinieri Emanuele Basile.
Si può considerare una svolta, soprattutto per la conoscenza della struttura dell'organizzazione Cosa nostra, l'interrogatorio iniziato a Roma nel luglio '84 in presenza del sostituto procuratore Vincenzo Geraci e di Gianni De Gennaro, del Nucleo operativo della Criminalpol, del "pentito" Tommaso Buscetta.
Due stretti collaboratori di Falcone e Borsellino, i funzionani di Polizia Giuseppe Montana e Ninni Cassarà, furono uccisi nell'estate '85. Fu allora che si cominciò a temere per l'incolumità anche dei due magistrati.
Due stretti collaboratori di Falcone e Borsellino, i funzionani di Polizia Giuseppe Montana e Ninni Cassarà, furono uccisi nell'estate '85. Fu allora che si cominciò a temere per l'incolumità anche dei due magistrati.
Si giunse così alla sentenza di condanna a Cosa nostra del primo maxiprocesso, dei 475 imputati, emessa il 16 dicembre 1987 dalla Corte di assise di Palermo, presidente Alfonso Giordano, dopo ventidue mesi di udienze e trentasei giorni di riunione in camera di consiglio.
Hanno inizio i primi fatti negativi che intervennero a creare difficoltà all’azione svolta da Giovanni Falcone ed i suoi collaboratori: nel gennaio il Consiglio superiore della magistratura preferì nominare a capo dell'Ufficio istruzione, in luogo di Caponnetto che aveva voluto lasciare l'incarico, il consigliere Antonino Meli. Il quale avocò a sè tutti gli atti.
Sopraggiunse poi un nuovo episodio che ebbe gravissime conseguenze su tutte le indagini antimafia: in seguito alle confessioni del "pentito" catanese Antonino Calderone, che avevano determinato una lunga serie di arresti ("blitz delle Madonie"), Il magistrato inquirente trasmise gli atti all'Ufficio palermitano. Ma il Meli, in contrasto con i giudici del pool rinviò le carte sostenendo che i reati non erano di sua competenza e la Cassazione, all’inizio del 1988, ratificò l'opinione del consigliere istruttore, negando in pratica la stessa esistenza di una struttura come il POOL ANTIMAFIA che potesse operare indipendentemente dal territorio locale delle organizzazioni criminose. Questa decisione sanciva giuridicamente la frantumazione delle indagini, che l'esperienza di Palermo aveva inteso superare.
Il 30 luglio Falcone richiese di essere destinato a un altro ufficio.
In autunno Meli gli rivolse l'accusa di favoritismi e quindi sciolse il pool, come Borsellino aveva previsto fin dall'estate in un pubblico intervento, peraltro censurato dal Consiglio superiore.
I giudici Di Lello e Conte si dimisero per protesta.
Borsellino ebbe a ricordare:
"La protervia del consigliere istruttore Meli l'intervento nefasto della Corte di cassazione cominciato allora e continuato fino a oggi, non impedirono a Falcone di continuare a lavorare con impegno".
"La protervia del consigliere istruttore Meli l'intervento nefasto della Corte di cassazione cominciato allora e continuato fino a oggi, non impedirono a Falcone di continuare a lavorare con impegno".
Nonostante simili avvenimenti, infatti, sempre nel corso dell'88, Falcone aveva realizzato una importante operazione in collaborazione con Rudolph Giuliani, procuratore distrettuale di New York, denominata "lron Tower": grazie alla quale furono colpite le famiglie dei Gambino e degli Inzerillo, coinvolte nel traffico di eroina.
Il 20 giugno '89 si verificò il fallito e oscuro attentato dell'Addaura presso Mondello dove fu trovata una bomba inesplosa destinata a Falcone; a proposito del quale Falcone affermò :
"Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l'impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi".
Seguì subito l'episodio, sconcertante, del cosiddetto "corvo", ossia di alcune lettere anonime dirette ad accusare astiosamente lo stesso Falcone e altri di aver montato un falso attentato.
Una settimana dopo l'attentato il Consiglio superiore decise la nomina di Falcone a procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Palermo.
Nel gennaio '90 egli coordinò un'inchiesta che portò all'arresto di quattordici trafficanti colombiani e siciliani, inchiesta che aveva preso l'avvio dalle confessioni del "pentito" Joe Cuffaro.
Nel corso dell'anno viene incriminato per calunnia il "pentito" Pellegriti, il quale rivolgeva accuse al parlamentare europeo Salvo Lima.(che in seguito fu trovato morto e si rivelò legato alla mafia e anello di congiunzione tra la mafia ed il potere politico).
Nel corso dell'anno viene incriminato per calunnia il "pentito" Pellegriti, il quale rivolgeva accuse al parlamentare europeo Salvo Lima.(che in seguito fu trovato morto e si rivelò legato alla mafia e anello di congiunzione tra la mafia ed il potere politico).
Intanto, fattisi più aspri i dissensi con l'allora procuratore P. Giammanco – Falcone accolse l'invito del vice-presidente del Consiglio dei ministri, Martelli, che aveva assunto l'interim del Ministero di grazia e giustizia, a dirigere gli Affari penali del ministero.
Si apriva così un periodo - dal marzo del 1991 alla morte - caratterizzato da una attività intensa, volta a rendere più efficace l'azione della magistratura nella lotta contro il crimine, con la razionalizzazione dei rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, e il coordinamento tra le varie procure e l’istituzione nel novembre del '91 della Direzione nazionale antimafia. Nella sua audizione al Palazzo dei Marescialli del 22 marzo '92., Falcone affermò:
"Io credo che il procuratore nazionale antimafia abbia il compito principale di rendere effettivo il coordinamento delle indagini, di garantire la funzionalità della polizia giudiziaria e di assicurare la completezza e la tempestività delle investigazioni. Ritengo che questo dovrebbe essere un organismo di supporto e di sostegno per l'attività investigativa che va svolta esclusivamente dalle procure distrettuali antimafia".
La sua candidatura a questi compiti, peraltro, fu ostacolata in seno al Consiglio superiore della magistratura. Quando ancora non si era giunti ad una decisione definitiva, sopraggiunse la strage di Capaci del 23 maggio.
Insieme a Falcone, a Capaci, persero la vita la moglie Francesca Morvilio, magistrato, e gli agenti di scorta Rocco Di Cillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro.
All'esecrazione dell'assassinio, il 4 giugno si unì il Senato degli Stati Uniti, con una risoluzione (la n. 308) intesa a rafforzare l'impegno del gruppo di lavoro italo-americano, di cui Falcone era componente.
“Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola”.
“Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola”.
Giovanni Falcone
GIOVANNI BORSELLINO
Borsellino nasce a Palermo il 19/1/1940.
Dopo avere frequentato il Liceo classico "Meli" si iscrive alla facoltà di giurisprudenza di Palermo. All’Università, nel 1959 Borsellino si iscrive all’organizzazione FUAN Fanalino e viene eletto come rappresentante studentesco. In questi anni l’attività politica lo prende molto e riesce a conciliare politica e studio senza grossi problemi.
Il 27 giugno 1962, all'età di appena 22 anni, Borsellino si laurea con 110 e lode e, pochi giorni dopo, subisce la perdita del padre. Ora è affidato a lui il compito di provvedere alla famiglia. Si impegna con l’ordine dei farmacisti a tenere la farmacia del padre fino al conseguimento della laurea in farmacia di sua sorella. Tra piccoli lavoretti e le ripetizioni Borsellino studia per superare il concorso in magistratura. Ci riesce nel 1963.
Il 23 dicembre del 1968 Borsellino si sposa, continua a lavorare a Mazara facendo avanti e indietro da Palermo, anche più volte al giorno.
Nel 1969 viene trasferito alla pretura di Monreale dove lavora fianco a fianco con il capitano dei Carabinieri Emanuele Basile.
Nel 1975 Borsellino viene trasferito al tribunale di Palermo e a luglio entra all’Ufficio istruzione processi penali sotto la guida di Rocco Chinnici. Con il Capitano Basile lavora alla prima indagine sulla mafia e da questo momento comincia il suo impegno senza sosta per sconfiggere l’organizzazione mafiosa.
Nel 1980 arriva l’arresto dei primi sei mafiosi. Nello stesso anno il capitano Basile viene ucciso in un agguato. Per la famiglia Borsellino arriva la prima scorta con le difficoltà che ne conseguono.
La scorta costringe il giudice e la sua famiglia a convivere con un nuovo sentimento: la paura. E’ così che Borsellino ne parla e la affronta:
"La paura è normale che ci sia, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, sennò diventa un ostacolo che ti impedisce di andare avanti."
Borsellino entra a far parte del Pool antimafia, che comprende quattro magistrati. Falcone, Borsellino e Barrile lavorano uno a fianco all’altro, sotto la guida di Rocco Chinnici.
Borsellino comincia a promuovere e a partecipare ai dibattiti nelle scuole, parla ai giovani nelle feste giovanili di piazza, alle tavole rotonde per spiegare e per sconfiggere una volta per sempre la cultura mafiosa.
Fino alla fine della sua vita Borsellino, nel tempo che gli rimane dopo il lavoro, cercherà di incontrare i giovani, di comunicargli questi nuovi sentimenti e di renderli protagonisti della lotta alla mafia.
I magistrati del pool pretendono l’intervento dello stato perché si rendono conto che il loro lavoro, da solo, non basta.
Borsellino lavora senza sosta, firma provvedimenti, indaga, ascolta con dedizione e responsabilità. Per questo Chinnici scrive una lettera al presidente del tribunale di Palermo per sollecitare un encomio nei confronti suoi e di Giovanni Falcone
L’encomio richiesto, non è mai arrivato.
Poi il dramma. Il 4 agosto 1983 viene ucciso il giudice Rocco Chinnici con un’autobomba. Borsellino è distrutto: dopo Basile anche Chinnici viene strappato alla vita e il vuoto si fa sentire molto. Borsellino con molta preoccupazione commenta:
"La mafia ha capito tutto: è Chinnici la testa che dirige il Pool".
A sostituire Chinnici arriva a Palermo il giudice Caponnetto e il pool, sempre più affiatato continua nell’incessante lavoro raggiungendo i primi risultati.
Nel 1984 viene arrestato Vito Ciancimino e si pente Buscetta, Borsellino sottolinea in ogni momento il ruolo fondamentale dei pentiti nelle indagini e nella preparazione dei processi.
Comincia la preparazione del Maxiprocesso e viene ucciso il commissario Beppe Montana e l’elenco dei morti è destinato ad aumentare.
Il clima è terribile: Falcone e Borsellino vengono immediatamente trasferiti all’Asinara per concludere le memorie, predisporre gli atti senza correre ulteriori rischi. Ma l’opinione pubblica inizia a criticare i magistrati, le scorte e il ruolo che si sono costruiti.
Paolo Borsellino chiede il trasferimento alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Marsala per ricoprire l'incarico di Procuratore Capo.
Il 19.12.1986 Paolo Borsellino prende servizio a Marsala dove per cinque anni guiderà una delle Procure più impegnate sul fronte della lotta alla criminalità organizzata.
Al centro (Palermo) Falcone e a Marsala Borsellino in modo da scoprire tutti i collegamenti esistenti tra la mafia di Palermo e quella della provincia. Nel corso di questo quinquennio, denso di scottanti inchieste giudiziarie e numerose soddisfazioni personali, Paolo Borsellino è dapprima nominato Segretario provinciale della corrente di Magistratura Indipendente, e, successivamente, Presidente nazionale dell'Associazione Nazionale Magistrati.
Vive in un appartamento nella caserma dei carabinieri per risparmiare gli uomini della scorta. In suo aiuto arriva Diego Cavaliero, magistrato di prima nomina, lavorano tanto e con passione.
Ma il clima comincia a cambiare. Il fronte unico che aveva portato a grandi vittorie della magistratura siciliana e che aveva visto l’opinione pubblica avvicinarsi agli uomini in prima linea e stringersi intorno a loro, comincia a cedere.
Nel 1987 Caponnetto è costretto a lasciare la guida del Pool a causa di motivi di salute. Tutti a Palermo aspettavano la nomina di Falcone al suo posto,presto, però, si rende conto che il CSM (Consiglio superiore della magistratura) non è dello stesso parere e si diffonde il terrore di veder distruggere il Pool. Borsellino scende in campo e comincia una vera e propria guerra, parla ovunque e racconta cosa stia accadendo alla procura di Palermo; sui giornali, in televisione nei convegni, continua a lanciare l’allarme. A causa delle sue dichiarazioni Borsellino rischia il provvedimento disciplinare.
Il 14 settembre si pronuncia il CSM Falcone perde e Antonino Meli, per anzianità, prende il posto che doveva essere suo.
Cominciano a parlare i pentiti e le indagini su connessioni tra mafia e politica a prendere forma. Borsellino è convinto che per sconfiggere la mafia i pentiti abbiano un ruolo fondamentale. Anche i giudici, però, dovranno essere attenti, controllare e ricontrollare ogni dichiarazione, ricercare i riscontri ed intervenire solo quando ogni fatto possa essere provato. E’ un’opera lunga ma i risultati non tarderanno ad arrivare.
Da questo momento gli attacchi a Borsellino diventano forti ed incessanti. Le indiscrezioni su Falcone e Borsellino sono ormai quotidiane.
Comincia, intanto, il dibattito sull’istituzione della Superprocura e su chi porre a capo del nuovo organismo. Falcone, intanto, va a Roma come direttore degli affari penali e preme per l’istituzione della Superprocura. Borsellino decide di tornare a Palermo, lo seguono il sostituto Ingroia e il maresciallo Canale.
Paolo Borsellino, pur rimanendo applicato alla Procura della Repubblica di Marsala chiede e ottiene di essere trasferito alla Procura della Repubblica di Palermo con funzioni di Procuratore Aggiunto.
Nuovi pentiti, nuove rivelazioni confermano il legame tra la mafia e la politica, e riprendono gli attacchi al magistrato .
Borsellino dice: “I rapporti tra mafia e politica? Sono convinto che ci siano. E ne sono convinto non per gli esempi processuali, che sono pochissimi, ma per un assunto logico: è l’essenza stessa della mafia che costringe l’organizzazione a cercare il contatto con il mondo politico. ...è maturata nello stato e nei politici la volontà di recidere questi legami con la mafia? A questa volontà del mondo politico non ho mai creduto".
Intanto a Roma viene finalmente istituita la Superprocura e vengono aperte le candidature; Falcone è il numero uno , Borsellino lo sostiene a spada tratta sebbene non fosse d’accordo sulla sua partenza da Palermo.
Nel Maggio 1992 finalmente Falcone raggiunge i numeri necessari per vincere l’elezione a superprocuratore. Borsellino e Falcone esultano, ma il giorno dopo Falcone viene ucciso insieme alla moglie, a Capaci; la mafia sa che in quel posto il giudice Falcone era troppo pericoloso.
Borsellino soffre molto, il legame che ha con Falcone è speciale e lui è morto tra le sue braccia.
Gli viene offerto di prendere il posto di Falcone nella candidatura alla superprocura, ma Borsellino rifiuta. Resta a Palermo, nella procura dei veleni per continuare la lotta alla mafia, diventando sempre più consapevole che qualcosa si è rotto, che il suo momento è vicino.
Ad un mese dalla morte dell’Amico Falcone, parla di lui:
"Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione....per amore. La sua vita è stata un atto d’amore verso questa città, verso questa terra che lo ha generato. Perché se l’amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui, amare Palermo e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a questa terra qualcosa, tutto ciò che era possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore questa città e la patria a cui essa appartiene. ..Sono morti tutti per noi, per gli ingiusti, abbiamo un grande debito verso di loro e dobbiamo pagarlo, continuando la loro opera...dimostrando a noi stessi e al mondo che Falcone è vivo".
Continua a lottare per poter avere la delega per ascoltare il pentito Mutolo. Insiste e alla fine il 19 luglio 1992 alle 7 di mattina Giammanco gli comunica telefonicamente che finalmente avrà quella delega e potrà ascoltare Mutolo.
Lo stesso giorno Borsellino va nella casa del mare, a Villagrazia, con la scorta. Si distende, va in barca con uno dei pochi amici rimasti. Dopo pranzo torna a Palermo per accompagnare la mamma dal medico.
Con l’esplosione dell’autobomba sotto la casa, in via D’Amelio, muore con tutta la scorta. E’ il 19 luglio del 1992.
Secondo gli agenti di scorta, via d'Amelio era una strada pericolosa, tanto che era stato chiesto di procedere preventivamente ad una rimozione dei veicoli parcheggiati davanti alla casa, richiesta però non accolta dal comune di Palermo, come rilasciato in una intervista alla RAI da Antonino Caponnetto.
Dopo l'attentato, l'"agenda rossa" di Borsellino, agenda che il giudice portava sempre con sè e dove annotava i dati delle indagini, non venne ritrovata.
Dopo l'attentato, l'"agenda rossa" di Borsellino, agenda che il giudice portava sempre con sè e dove annotava i dati delle indagini, non venne ritrovata.
Oltre a Paolo Borsellino morirono gli agenti di scorta Agostino Catalano (caposcorta), Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Borsellino parlava spesso della morte un po’ per scherzarci sopra un po’ per ricordarsi sempre che non è poi così lontana:
"Se muoio adesso, il mio compito l’ho svolto".
Ha visto morire molte persone, uomini di valore morale ed intellettuale e sa benissimo di non essere esente da una fine simile:
"Non sono né un eroe né un kamikaze, ma una persona come tante altre. Temo la fine perché la vedo come una cosa misteriosa, non so quello che succederà nell’aldilà. Ma l’importante è che sia il coraggio a prendere il sopravvento...Se non fosse per il dolore di lasciare la mia famiglia, potrei anche morire sereno".