lunedì 28 aprile 2008

Concerto

1 maggio con Elio e Caparezza



A Roma anche Tricarico e Irene Grandi .

E' stato presentato il cast del concertone del 1 maggio che si terrà come ogni anno a Roma in piazza San Giovanni.

Sul palco, presentati dall'attore Claudio Santamaria, si alterneranno tra gli altri: Subsonica, Elio e le Storie Tese, Caparezza, Afterhous, Irene Grandi, Baustelle, Marlene Kuntz, Tricarico, una All Star Jazz guidata da Stefano Di Battista e Jorge Ben, figura storica della musica brasiliana.

I temi artistici dell'evento saranno un'omaggio ai 70 anni di Adriano Celentano e alle canzoni del '68.
Tema politico del concertone di quest'anno sarà la sicurezza sul lavoro e le morti 'bianche'.

Claudio Santamaria abbandona per un giorno il set cinematografico per indossare i panni del conduttore.






L'Inno del Primo Maggio



fu scritto nel 1892 da Pietro Gori sulla base della melodia del "Va’ pensiero", il coro del Nabucco verdiano.



Vieni o Maggio t'aspettan le genti

ti salutano i libericuori

dolce Pasqua del lavoratori

vieni e splendi alla gloria del sol

Squilli un inno di alate speranze

al gran verde che il frutto matura

e la vasta ideal fioritura

In cui freme Il lucente avvenir

Disertate falangi dl schiavi

dai cantieri da l'arse officine

via dai campi su da le marine

tregua tregua all'eterno sudor

Innalziamo le mani incallite

e sian fascio di forze fecondo

noi vogliamo redimere il mondo

dal tiranni de l'ozio e de l'or

giovinezza dolori ideali

primavere dal fascino arcano

verde maggio del genere umano

date al petti il coraggio e la fé

Date fiori ai ribelli caduti

collo squardo rivolto all'aurora

al gagliardo che lotta e lavora

al veggente poeta che muor

venerdì 18 aprile 2008

CGP- iti Angioy



CGP- iti Angioy

CENTRO DI GRAVITA’ PERMANENTE


Centro di ascolto e di Innovazione Creativa
cgpangioy@itiangioy.sassari.it


Il CGP è un Centro di ascolto, informazione e attività creative dell'Istituto Tecnico Industriale G.M.Angioy di Sassari ed è un servizio per gli studenti, i docenti e le famiglie.

Il CGP è aperto alcune ore durante la settimana, secondo un calendario che verrà posto nell'apposita bacheca nell’Atrio della scuola, ma i docenti e i ragazzi che ne fanno parte possono essere contattati, con appuntamento, anche al di fuori degli orari di apertura del centro.

Ci si può rivolgere al CGP per:
  • proporre iniziative o compiere al meglio quelle già in fase di realizzazione;
  • ricevere informazioni sulla vita scolastica, sugli eventi culturali e artistici della città, ecc..;
  • dare visibilità ad attività svolte;
  • essere ascoltati relativamente ad un problema scolastico o personale, della classe o di un singolo studente, docente o genitore.
Vogliamo che nella nostra scuola possa formarsi stabilmente un centro capace di:
  • promuovere attività creative che affianchino e favoriscano lo studio e l’applicazione dei nostri studenti nell’impegno e nel dialogo scolastico;
  • promuovere una rete di informazione e comunicazione attraverso effettivi ed efficaci rapporti collaborativi tra le varie componenti ;

Per contattare i responsabili del CGP o per offrire la propria collaborazione entrando a fare parte del CGP:
  • contattare personalmente i docenti e gli studenti che ne fanno parte
  • recarsi, secondo il calendario affisso in bacheca, presso l’aula del CGP, della cui ubicazione verranno date le necessarie indicazioni nella bacheca-studenti;
  • mandare un sms al numero di cellulare indicato in bacheca
Informazioni e dati più precisi sono indicati nella bacheca-studenti posta nell’Atrio della scuola accanto alla scala D e nei volantini che saranno distribuiti alle classi

Bullismo, un fenomeno da combattere




Riportiamo rielaborate alcune note dal sito http://www.bullismo.com/

Sono atti di bullismo:

1 - Insulti

2 - Voci diffamatorie e false accuse

3 - Razzismo

4 - Critiche immotivate ed eccessivo controllo

5 - Piccoli furti

6 - Estorsione

7 - Minacce

8 - Violenza privata

9 - Aggressioni e/o giochi violenti con forti squilibri

10- Lesioni personali

11- Esclusione dal gioco (vedi convenzione dei diritti del fanciullo)

12- Percosse

13- Danneggiamento di cosa altrui.






Ciò che favorisce questi comportamenti è l'eccessiva tolleranza di alcuni professori e l'educazione che le famiglie danno ai loro figli .


Ricordiamo però che non sempre il bullismo si vede dalla cattedra.
Per questa ragione è sicuramente colpevole di “eccessiva tolleranza” quel professore che pur sapendo, si disinteressa della vittima lavandosene le mani.





Nel codice penale esistono molte leggi che tutelano dall'aggressione, dalle lesioni personali, dalle prevaricazioni…ecc. Sembrerebbe facile difendersi da violenze ed offese subite, ma l'esperienza del bullismo è diversa, perché spesso si è vittima di un insieme di violenze il cui effetto complessivo è più devastante di tutti gli elementi, presi singolarmente, previsti dalla legge.
E’ quindi necessario che venga fatta al più presto una legge specifica per il bullismo che preveda una pena giusta e mirata. Ciò impedirebbe la drammatica evoluzione degli effetti dannosi di questo male e metterebbe fine all’atteggiamento di eccessiva tolleranza della nostra società rispetto al fenomeno






Spesso si sente dire:”In fondo…cosa saranno mai delle prese in giro di un'oretta? Quanto male potrà mai fare una “sberletta” sulla testa? Quanta dignità potrà mai togliere un insulto?…”
Ma se noi moltiplichiamo tutto questo per ogni ora del giorno e sommiamo tra loro i prodotti ottenuti, arriviamo ad avere una buona parte del vero danno da bullismo.







link utili:




NELLA VITA CI SONO MOMENTI IN CUI TI SENTI CON LE MANI LEGATE...QUESTO SITO PER FARTI CAPIRE CHE PUOI ANCORA FARE MOLTO !
http://www.bullismo.com/


info@bullismo.com





BULLISMO?NO, GRAZIE!
http://www.facchinetti.net/index.php

domenica 13 aprile 2008

DISLESSIA

Cos'è la dislessia?

Perchè questo bambino non sa leggere?

Perché scrive così male?

Perché non sa le tabelline?

Forse il suo problema é la dislessia.



La dislessia e' una difficoltà che riguarda la capacità di leggere e scrivere in modo corretto e fluente.

Leggere e scrivere sono atti così semplici e automatici che risulta difficile comprendere la fatica di un bambino dislessico.

Purtroppo in Italia la dislessia è poco conosciuta, benchè si calcoli che riguardi almeno 1.500.000 persone.

La dislessia non è causata da un deficit di intelligenza né da problemi ambientali o psicologici o da deficit sensoriali o neurologici.

Il bambino dislessico può leggere e scrivere, ma riesce a farlo solo impegnando al massimo le sue capacità e le sue energie, poichè non può farlo in maniera automatica.

Perciò si stanca rapidamente, commette errori, rimane indietro, non impara.

La difficoltà di lettura può essere più o meno grave e spesso si accompagna a problemi nella scrittura, nel calcolo e, talvolta, anche in altre attività mentali.

Tuttavia questi bambini sono intelligenti e - di solito - vivaci e creativi.

DISLESSIA

Come si manifesta la dislessia






Il bambino dislessico ha difficoltà scolastiche, che di solito compaiono già nei primi anni di scuola e persistono negli anni seguenti.








Il bambino spesso compie nella lettura e nella scrittura errori caratteristici come l'inversione di lettere e di numeri (es. 21 - 12) e la sostituzione di lettere (m/n; v/f; b/d).



A volte non riesce ad imparare le tabelline e alcune informazioni in sequenza come le lettere dell'alfabeto, i giorni della settimana, i mesi dell'anno.




Può fare confusione per quanto riguarda i rapporti spaziali e temporali (destra/sinistra; ieri/domani; mesi e giorni) e può avere difficoltà a esprimere verbalmente ciò che pensa.



In alcuni casi sono presenti anche difficoltà in alcune abilità motorie (ad esempio allacciarsi le scarpe), nel calcolo, nella capacità di attenzione e di concentrazione.

Spesso il bambino finisce con l'avere problemi psicologici, ma questo è una conseguenza, non la causa della dislessia.Anche dopo le elementari persistono lentezza ed errori nella lettura, che ostacolano la comprensione del significato del testo scritto.


I compiti scritti richiedono un forte dispendio di tempo. Il bambino appare disorganizzato nelle sue attività, sia a casa che a scuola. Ha difficoltà a copiare dalla lavagna e a prendere nota delle istruzioni impartite oralmente.

Talvolta perde la fiducia in se stesso e può avere alterazioni del comportamento.


un commento
Complimenti per il linguaggio semplice e chiaro, grazie per le informazioni e gli indirizzi. Ho scoperto per caso questo sito, mi è piaciuto tanto. Lo inserirò tra i miei preferiti. Continuate così
Gabriella

cgp risponde
Ci fa piacere essere utili ai giovani che vogliono informarsi. Accettiamo volentieri suggerimenti sugli argomenti da approfondire. ciao



INDIRIZZI UTILI

Associazione Italiana Dislessia
Sito ufficiale dell'Associazione Italiana Dislessia.


www.aiditalia.org/















Comitato per la Scuola dell'A.I.D.:


scuola@dislessia.it


Concetta Pacifico (Presidente)
Maria Grazia Gozio
Giuseppina Clini
Nicoletta GalvanGiulia Lampugnani








Guida agli ausili informatici
Come utilizzare al meglio le nuove tecnologie
con i disturbi specifici dell’apprendimento


http://www.dislessia.anastasis.it/





· Progetto
· Presentazione di Giacomo Stella


NORMATIVA

NOTE EMANATE DAL MIUR
PROVVEDIMENTI DISPENSATIVI E COMPENSATIVI

prot. n. 4099/A/4 del 5/10/2004 DOC - PDF
prot n. 26/A 4 del 5/1/2005 DOC - PDF
prot.1787 uff.VII del 1/3/2005 DOC - PDF
Prot. n° 4798/ A4a del 27/7/2005 DOC - PDF

In data 5 ottobre 2004 il MIUR, ad opera della Direzione Generale per lo Studente (dott.ssa Moioli) ha inviato a tutte le Direzioni Scolastiche Regionali una circolare sugli strumenti compensativi e dispensativi che riprende una serie di suggerimenti forniti dalla nostra Associazione.

Pur non essendo un documento normativo cogente, l'autorevolezza della fonte costituisce un buon punto di riferimento per poter ottenere una migliore tutela dei ragazzi con dislessia nella scuola italiana.

La nota prot n. 26/A 4 del 5/1/2005 sottolinea che i provvedimenti suggeriti possono essere applicati in tutte le fasi del percorso scolastico, compresi i momenti di valutazione finale, si precisa che ciò comprende anche l’esame conclusivo della scuola secondaria di primo grado. In caso di contestazione si consigliano docenti e genitori di fare riferimento all’U.S.R di competenza.

domenica 6 aprile 2008

la sarda rivoluzione : SA DIE DE SA SARDIGNA _ 28 APRILE

IL 28 APRILE SI FESTEGGIA "SA DIE DE SA SARDIGNA"
Proclamazione della repubblica sassarese

PER RICORDARE IL GIORNO DELLA SARDA RIVOLUZIONE


IN CUI IL POPOLO SARDO HA LOTTATO
PER L'INDIPENDENZA E L'AUTONOMIA

IL 28 APRILE 1794





   Legge Regionale 14 settembre 1993, n. 44        Istituzione della giornata del popolo sardo "Sa Die de sa Sardinia".









Il Consiglio Regionale ha approvato 
Il Presidente della Giunta Regionale promulga la seguente legge:



Art.1

1. Il 28 aprile è dichiarata giornata del popolo sardo "Sa Die de sa Sardinia".


2. In occasione della ricorrenza, la Regione Autonoma della Sardegna organizza manifestazioni ed iniziative culturali.


3. A tal fine la Giunta regionale approva annualmente, sentita la competente Commissione consiliare, uno specifico programma, predisposto dall'Assessore della pubblica istruzione anche sulla base delle iniziative indicate dagli enti locali ed associazioni senza scopo di lucro.


4. Detto programma deve mirare a sviluppare la conoscenza della storia e dei valori dell'autonomia, in particolare tra le nuove generazioni.






La presente legge sarà pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione.


E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge della Regione.




















La  Rivoluzione in Sardegna

Indice

1 Le Cinque domande
2 La Rivoluzione a Sassari



3 La Rivoluzione a Cagliari

4 Giommaria Angioy 


VAI ALL'ETICHETTA: la  sarda rivoluzione

LA SARDA RIVOLUZIONE- LE 5 DOMANDE




1 Le Cinque domande

Il 29 dicembre del 1792 i francesi (1) avevano occupato Carloforte senza colpo ferire e si preparavano ad invadere l’isola. Ma il 17 gennaio 1793 dovettero ritirarsi dall’istmo di Sant’Antioco, grazie alla resistenza dei miliziani (2) di Iglesias.
Il 20 gennaio la flotta francese fece vela sulla città di Cagliari.
Fin dal 4 gennaio 1793 lo Stamento militare (3) si era autoconvocato per prendere provvedimenti di fronte alla minaccia francese.
Il governo sabaudo aveva sempre preferito rivolgersi direttamente agli Stamenti (3) (militare, dei nobili; ecclesiastico, del clero; reale, dei rappresentanti delle città, cioè i borghesi) attraverso dei loro referenti, evitando la riunione plenaria dell’assemblea generale dei tre rami del Parlamento (3) (la cui ultima convocazione risaliva ad un secolo prima). L’autoconvocazione era dunque già di per sé un atto eccezionale.
Nella discussione, il vicerè (4) Balbiano fu oggetto di critiche per la sua inazione.
Dopo qualche giorno anche lo Stamento ecclesiastico decise di riunirsi.
Si chiese il rispetto delle “leggi fondamentali”(4) del Regno di Sardegna e lo ristabilimento del Parlamento, entrambi, sia leggi che organo, risalenti al periodo spagnolo ed ancora vigenti, benché mai presi in considerazione dai Savoia.
Nel frattempo si mobilitò un altro organo istituzionale: la Reale Udienza (5), il supremo tribunale dell’isola, che doveva giudicare se fosse legittima l’autoconvocazione dello Stamento militare.
La Reale Udienza non solo giudicò legittima l’autoconvocazione del Parlamento, ma ribadì il suo importante ruolo di Consiglio politico del vicerè.

Il 22 gennaio la flotta francese comandata dal Truguet inizia il bombardamento sulla città di Cagliari ed in febbraio hanno luogo le operazioni di sbarco sul litorale di Quartu, al Margine rosso. I miliziani sardi riescono a resistere agli assalitori, che si ritirano.
Nobili e borghesi, nell’entusiasmo della resistenza ai francesi, hanno assaporato il piacere del comando, hanno riscoperto il valore delle tradizionali “autonomie” sarde, che i Savoia avevano trascurato e disprezzato.
I nobili cagliaritani si lamentano della lentezza del vicerè nella difesa, richiedono che alla nobiltà sarda venga riservata l’assegnazione di incarichi civili e militari. Si diffondono idee di cambiamento, e si rafforza la volontà di richiamarsi alle “leggi fondamentali”.

Nell’estate del 1793 gli Stamenti pronunciano le Cinque Domande, in un memoriale indirizzato al sovrano:
1- che il Parlamento, mai riunito dai re sabaudi, fosse convocato come già dai re di Spagna, ogni dieci anni;
2- che si riconfermassero gli antichi privilegi del regno;
3- che, fatta eccezione per la carica di viceré, tutti gli impieghi civili e militari fossero concessi esclusivamente a Sardi;
4- che si istituisse un ministero per gli affari della Sardegna in Torino;
5- che si istituisse in Cagliari un Consiglio di Stato che il viceré avrebbe dovuto consultare per l’ordinaria amministrazione.
Due membri di ciascuno degli stamenti vengono designati a costituire la delegazione che dovrà illustrare il memoriale al sovrano. Per lo stamento militare vengono designati Gerolamo Pitzolo e Domenico Simon.
Le Cinque Domande vengono dunque affidate alla delegazione che si recherà a Torino per essere ricevuta dal re.
Ma le Cinque Domande vengono respinte dal re Vittorio Amedeo III.
Vennero solo concesse delle nomine ad alcuni sardi: Gerolamo Pitzolo, che aveva fatto parte della delegazione, ottenne l’incarico di Intendente generale delle Finanze e il Marchese della Planargia quello di Generale delle Armi.
Successivamente si verificò una spaccatura tra coloro che, insieme a Giramo Pitzolo, ritenevano esaurito l’entusiasmo per la resistenza antifrancese e che dovesse essere ristabilito l’ordine, e coloro che invece ritenevano si fosse giunti solo ad una prima fase di un processo di cambiamento.
Facevano parte di quest’ultimo schieramento soprattutto avvocati e notai e i rappresentanti dello Stamento reale, che consideravano Giovanni Maria Angioy come punto di riferimento. Essi godevano di un solido appoggio popolare.
Il Pitzolo e il Planargia verranno infine accusati di tradimento e uccisi.



Note
1) Nel corso degli eventi successivi allo scoppio della Rivoluzione francese, La Francia rivoluzionaria aveva sferrato l’attacco ai Savoia, alleati nella confederazione antifrancese. Sotto l’urto delle armi rivoluzionarie i Savoia verranno travolti e scacciati, prima da Nizza e dalla Savoia e poi dallo stesso Piemonte (nel 1799 il re Carlo Emanuele fu costretto ad esiliarsi in Sardegna e risiedette per breve tempo a Cagliari). Dopo l’occupazione di Nizza e Savoia, nel 1792, dovette sembrare ai francesi impresa facile anche l’occupazione della Sardegna.►
2) La Milizia nazionale era costituita da volontari che venivano arruolati con la promessa di qualche esenzione e privilegio, era formata a quei tempi da 185 compagnie di fanteria che inquadravano 22.799 uomini e 80 compagnie di cavalleria con 5907 cavalli. Era però una forza pressoché inesistente, sparsa nei singoli villaggi, senza addestramento, male equipaggiata ed armata, senza graduati ed ufficiali atti a poterla guidare. Per questo motivo il viceré non volle tenerne conto fino all’ultimo momento
3) Nel 1297 Giacomo d’Aragona ebbe dal papa BonifacioVIII l’investitura della Sardegna, fino a quel momento semplice feudo della Chiesa spartito e conteso tra il Giudicato di Arborea e i Comuni di Pisa e Genova. Nasceva così il Regno di Sardegna, allora non più che un titolo, un vasto territorio di cui bisognava ancora impadronirsi. Solo nel 1324 la conquista aragonese della Sardegna incominciò a concretizzarsi e solo nel 1421 Alfonso il Magnanimo poté dar vita effettiva al regno con la convocazione del Parlamento: esso era costituito, come quello valenzano e catalano, dai tre bracci, o Stamenti : ecclesiastico, militare, reale. Facevano parte del primo i grandi prelati, del secondo i nobili e i cavalieri, del terzo i rappresentanti delle città e delle ville non infeudate.
Compito principale del Parlamento fu quello di votare (ogni dieci anni) il donativo, cioè la somma annualmente richiesta dalla corona ai tre bracci che si ripartivano l’incarico; inoltre esso svolgeva la sua funzione vera e propria, quella legislativa: proporre nuove leggi, modificarne o abrogarne altre ecc. Ma il Parlamento in effetti non aveva alcun potere di legiferare, che spettava solo al re, il quale poteva accogliere o respingere le “umili”proposte di “grazie” e “privilegi”.
Nessuno dei tre bracci rappresentava la popolazione sarda, ma solo gli interessi ed i privilegi dei signori.
In ogni caso l’esistenza e la convocazione Parlamento può considerarsi almeno teoricamente come una forma di autonomia ed identità del Regno sardo.
Passando sotto il governo dei Savoia col trattato di Londra del 1718, il Regno di Sardegna, che conferì titolo di re ai duchi sabaudi, mantenne il suo Parlamento, così come era stato sotto il potere spagnolo, che però non venne mai convocato dai sovrani piemontesi, che dimostrarono così grande disprezzo verso l’autonomia dei sudditi sardi.

4)Viceré fu il nuovo nome assunto nel 1418 dal luogotenente regio del Regno aragonese di Sardegna che all’inizio dell’istituzione, nel 1324, si chiamava governatore generale o alternos del monarca, e che reggeva lo Stato in assenza regia con poteri delegati, compresa la facoltà di convocare e presiedere i Parlamenti.
Dopo il trattato di Londra, non fu Vittorio Amedeo II a recarsi sull’isola per prenderne possesso, ma direttamente il viceré barone di Saint Remy, senza che il re degnasse di mostrarsi ai suoi nuovi sudditi. La Sardegna, nonostante fosse il loro solo Regno, fu trattata dai Savoia come un vicereame, in secondo piano rispetto al loro ducato. Così nel 1720 avvenne lo scambio di giuramenti tra il viceré e i membri degli stamenti; questi promettevano fedeltà e vassallaggio al nuovo sovrano, il vicerè prometteva di conservare immutati i privilegi e le leggi fondamentali del Regno. Ciò significava per la Sardegna non già un’autonomia (più di diritto che di fatto), ma una duplice soggezione, verso i feudatari (i vecchi baroni di origine spagnola) e il governo piemontese. I vari viceré che si succedettero in Sardegna mantennero un atteggiamento di immobilismo lasciando l’isola sotto l’oppressione di un secolare regime medievalesco.

5)La Reale Udienza era l’organo collegiale per l’amministrazione della giustizia nel Regno di Sardegna. Fu istituito nel 1564 da Filippo I di Spagna a seguito della richiesta degli stamenti allo scopo di poter esercitare in sede locale la funzione di Corte d’Appello , fino a quel momento esercitata dal Consiglio Supremo di Spagna. In caso di “vacatio regni” prendeva le redini dello Stato, e questo accadde nel 1794 con la cacciata del viceré Balbiano.



La sarda rivoluzione: LA RIVOLUZIONE A SASSARI

2 La Rivoluzione a Sassari

Per vent'anni i Savoia tennero in posizione marginale l'isola, che pure aveva conferito loro il titolo regio, appunto quello di re di Sardegna.
Il re Vittorio Amedeo II di Savoia (1720-1730) non effettuò nessun intervento per migliorare le condizioni di grave arretratezza lasciate dagli spagnoli, salvo una prima riorganizzazione del sistema fiscale; mentre qualche prima misura fu adottata in maniera episodica da Carlo Emanuele III (1730-1773).
A partire dal 1743 un potente ministro piemontese, Gian Lorenzo Bogino, attuò illuminate misure di carattere riformistico: riaprì, rifondandole sul modello dell'ateneo di Torino, le università di Cagliari e di Sassari, dove si provvide nel 1764 a riorganizzare il funzionamento dell’università in seguito alle richieste delle autorità locali.; rafforzò i consigli comunali e creò i monti frumentari, ossia un sistema finanziario pensato per incrementare l'agricoltura e liberare i contadini dal peso dei debiti. A Bogino si deve anche la valorizzazione dell'arcipelago della Maddalena, dove venne costruita una piazzaforte militare a protezione del porto, che diventerà nell'Ottocento un'importante base militare.
Ma la già debole spinta riformistica si spense sotto Vittorio Amedeo III (1773-1796) durante il cui regno tornarono a prevalere in Sardegna condizioni di isolamento e arretratezza.

A Sassari, che precedentemente aveva tratto beneficio dalle iniziative del Bogino, espandendosi e superando i 16000 abitanti, un governatore avido e prepotente, Allì di Maccarani, condusse i ceti popolari a ribellarsi, il 23 aprile 1780, devastando gli edifici pubblici e saccheggiando la frumentaria e numerosi negozi.
Durante gli anni della Rivoluzione francese, nel decennio rivoluzionario di fine secolo, si formò nell’isola un movimento antifeudale e antisabaudo. Le popolazioni rurali soprattutto del Logudoro tumultuavano ed insorgevano contro i feudatari.
Queste insurrezioni miravano a conseguire proprio ciò che i sardi avevano perduto respingendo valorosamente la flotta del Truguet!
I vassalli (1) si rifiutavano di pagare i tributi feudali. Nel 1793 Ossi fece resistenza contro il duca dell’Asinara e sul suo esempio si ribellarono anche Sennori e Sorso, mettendo in fuga i dragoni del Governatore (2). Il fermento si estese pure a Bulzi, Sedini, Nulvi, Osilo, Ploaghe, che rifiutarono di pagare i diritti feudali.
Via via i moti si estesero a quasi tutto il Logudoro e oltre: Ittiri, Uri, Thiesi, Pozzomaggiore, Bonorva; e mentre in principio furono dimostrazioni passive e isolate, ora i vassalli, nel 1795, si armano (Ozieri leva in armi 600 uomini) e qua e là si impossessano (Ittiri e Uri con 700 armati) dei granai e dei feudatari.
Si stipulano anche patti di intesa, come quello di Thiesi, Bessude e Cheremule, con atto pubblico notarile registrato a Sassari, con la firma di 113 persone che affermano di non riconoscere più alcun feudatario e chiedono il riscatto delle terre. Anche Bonorva, Semestene e Rebeccu stipulano un documento analogo.
Sassari divenne il luogo di raccolta delle forze conservatrici feudali e religiose, che vi si asserragliarono, assumendo un atteggiamento di ribellione e di disubbidienza di fronte a Cagliari, capitanate dal ricchissimo e superbo Duca dell’Asinara.
Ma, ciò nonostante, un piccolo esercito di democratici, formato da alcune migliaia di contadini, riuscì ad impadronirsi della città mentre i feudatari fuggivano al primo scambio di archibugiate. I capi della rivolta, gli avvocati Gioacchino Mundula e Francesco Cilocco, posero il loro quartier generale nel convento di Sant’Agostino. Seguì una breve battaglia presso il Castello e davanti alla torre di Porta Macello (l’attuale mercato) e Sassari si arrese : Il palazzo del duca dell'Asinara fu messo a soqquadro, fu rimosso il consiglio civico, l’arcivescovo Della Torre e il governatore Santuccio, fatti prigionieri, furono inviati a Cagliari .
In queste circostanze, inviato da Cagliari col compito di rimettere ordine nel Logudoro, il 28 Febbraio del 1796, fece il suo ingresso in città, l’alternos (3) Giovanni Maria Angioy, accompagnato ed acclamato da una folla di patrioti raccolti durante la sua marcia trionfale verso la città, al canto dell’Inno “A su Patriottu sardu” del poeta Mannu: “Procurade ‘e moderare barones sa tirannia”.
Essi erano animati dall’intento, rivelatosi però ancora prematuro, di giungere all’abolizione del sistema feudale.
Questo tentativo finì ben presto nel nulla, e fu seguito da feroci repressioni.
L'isola rimase saldamente controllata dai Savoia, grazie anche all'appoggio navale fornito dall'Inghilterra. Il regime feudale che gravava sulle proprietà fu abolito solo nel triennio 1836-1839, sotto Carlo Alberto.





Note

1) Vassallo è un termine che si riferisce al sistema feudale instauratosi in Sardegna con la dominazione aragonese, per cui il vassallaggio è l’atto di sottomissione che un uomo libero fa ad un signore cui viene giurata fedeltà e assicurato l’appoggio militare in cambio di protezione e di un feudo o beneficio. In questo caso, per VASSALLI non si intendono i grandi feudatari, cioè i “baroni”spagnoli che il re d’Aragona aveva investito del beneficio delle terre prima appartenenti ai liberi sudditi degli antichi giudicati, ma il termine VASSALLI è riferito agli stessi abitanti sardi, cioè i contadini e soprattutto le comunità di villaggio sottomesse ai diritti feudali.
2) Quando, nel 1418, il Governatore Generale (anche detto alternos), delegato dai sovrani spagnoli a sostituirli e rappresentarli nel Regno di Sardegna, prese il nome di viceré, il Capo di Logudoro, ed il Capo di Cagliari- Gallura, le cui denominazioni rimasero a segnare l’antica divisione territoriale dello Stato, furono rappresentati ognuno da un proprio GOVERNATORE, senza alcun effettivo potere, se non quello di sostituire il viceré in caso di vacatio
3) Alternos significa “un altro da noi” dove per “noi” si intende il re o anche il viceré, dunque un funzionario con incarichi delegati. Il più famoso alternos fu Angioy, nominato il 3 febbraio 1796 dal viceré Vivalda a sostituirlo con pieni poteri civili, giudiziari e militari, presso il Capo del Logudoro per calmarne i disordini.

La sarda rivoluzione:LA RIVOLUZIONE A CAGLIARI

3 La Rivoluzione a Cagliari

La rivolta popolare

Il 28 Aprile 1794, una compagnia di granatieri del reggimento svizzero Schmid scende dalla Porta Reale, dirigendosi verso Stampace, un rione nato nel XIII secolo, al momento della prima fortificazione di Castello, raccogliendo artigiani e capimastri pisani, ed in seguito popolato dai sardi.
Gran parte dei granatieri si dispone in cerchio attorno all’abitazione dell’avvocato Vincenzo Cabras per notificargli un ordine di arresto che si estende al genero del Cabras, Efisio Pintor, anche lui avvocato. Essi devono essere arrestati perché considerati pericolosi rivoluzionari.
Quando i due uomini, in catene, escono dalla casa, la notizia percorre immediatamente Stampace. Lo sdegno si trasforma presto in rivolta.
I granatieri si richiudono all’interno del Castello il quale viene assalito dal popolo.
Una volta entrati, gli insorti giungono nella piazza antistante il Palazzo viceregio e lo scontro si fa più accanito tra il popolo e la guardia di palazzo. Viene ucciso il Comandante delle guardie, ed il popolo conquista il palazzo e ha la meglio sui granatieri.

Lo Scommiato: “La scacciata”

Una cosa che le cronache non dicono è quale atteggiamento abbia assunto di fronte alla sommossa popolare la nobiltà cagliaritana. Fatto sta che appena i fucili hanno smesso di sparare e il viceré e i funzionari piemontesi, in preda al terrore di essere massacrati da una plebe urlante, si sono rintanati nella stanza più riposta del Palazzo, i nobili sono prontissimi a entrare in scena per prendere in mano le redini della città.
Il primo impulso di fronte alla folla in tumulto che circonda il Palazzo viceregio è quello di calmare i più accesi, di introdurre un elemento di moderazione nella dinamica di una rivolta di cui si temono ulteriori sviluppi.
Da un lato i nobili rassicurano il viceré, dall’altro il visconte di Flumini, don Francesco Asquer, a capo di un centinaio di persone, procede all’arresto dei piemontesi presenti in città.
Lo “scommiato” dei piemontesi da Cagliari si svolge in un clima in cui toni enfatici si alterneranno a quelli, più familiari alla città, del lazzo e della battuta.
Il 30 aprile il vicerè Balbiano sale sulla nave veneziana che deve portarlo in Italia e che salperà il 7 Maggio 1794.
Intanto entro le mura della darsena dove Balbiano sta per imbarcarsi, gruppi di popolani festosi inscenano un irridente ballo sardo.

Un “Manifesto Giustificativo”

Così come era avvenuto anche a Sassari, le cose si erano svolte tutto sommato con ordine: non vi era stato neppure per un momento il pericolo di una “tirannia plebea”, ed il popolo cagliaritano era stato solo provocato da arresti insensati (quello dell’avvocato Vincenzo Cabras e quello, tentato, di Efisio Pintor).
L’esempio più vistoso della febbre di iniziative che aveva preso la città era costituito dal notaio stampacino Vincenzo Sulis, il quale, nei giorni dell’attacco francese si era fatto capopopolo e aveva reclutato armati, li aveva organizzati, li aveva utilizzati in azioni audaci; dopo la sconfitta dei francesi tutto questo apparato non era stato smobilitato, per cui il 28 aprile ritroviamo gli uomini di Sulis presidiare armati le strade di Stampace.
Ma presto la rivolta popolare era rientrata sotto il controllo dei nobili cagliaritani.
Il momentaneo vuoto di potere, era stato riempito dalla Reale Udienza.
Non mancavano certo implicazioni rivoluzionarie e la richiesta avanzata dai sardi rivoluzionari della “privativa degli impieghi” per i sardi era passibile di una doppia lettura. Quella in chiave patriottica poteva anche odorare pericolosamente di giacobinismo. L’altra però riconduceva al tema degli antichi privilegi dell’aristocrazia sarda.
Le cose inizialmente parvero avviarsi in questa seconda direzione. Da parte del governo di Torino prima vi fu la sostituzione del ministro dell’Interno Granari con il conte Avogadro di Quaregna, poi, subito dopo, la nomina di alcuni sardi alle cariche lasciate scoperte dall’allontanamento dei funzionari piemontesi.

Un manifesto giustificativo dei fatti di Stampace (anonimo ma in realtà steso da Antonio Cabras, figlio di uno degli arrestati) escludeva che dietro di essi vi fosse un preciso progetto politico.
In realtà le cose non sarebbero finite così, ma avrebbero avuto un seguito con l’entrata in scena di Giommaria Angioy.

la sarda rivoluzione: GIOMMARIA ANGIOY



4 Giommaria Angioy

Nacque a Bono il 21 ottobre 1751, visse nel periodo sabaudo del Regno di Sardegna.
Intraprese gli studi a Sassari nel convitto nazionale del Canopoleno dove conseguì il magistero di Filosofia ed Arti.
Trasferitosi a Cagliari si laureò in “utroque jure”,divenendo dottore in legge a soli 20 anni. Nel maggio del 1789 fu professore di Diritto civile nell’Università e poi giudice nella Reale Udienza.
La sua grande stagione politica ebbe inizio all’indomani della fallita invasione francese e, soprattutto, dopo l’insurrezione del luglio 1794 che portò alla cacciata del viceré piemontese e che diede tutto il potere alla Reale Udienza. Egli era l’anima e il capo del partito democratico riformista e divenne ben presto il punto di riferimento dei patrioti rivoluzionari.
Il 3 febbraio 1796 venne nominato dal nuovo viceré Vivalda (che aveva sostituito il Balbiano dopo la sua caccaiata) suo Alternos con pieni poteri civili, militari e giudiziari, ed inviato nel Logudoro per calmare i disordini. Dopo molte titubanze l’Angioy partì da Cagliari il 13 febbraio, con poca scorta, a cavallo.
Per raggiungere Sassari sarebbero stati sufficienti pochi giorni di viaggio, invece ne trascorsero quindici: ovunque accolto con dimostrazioni di simpatia, fatto sostare per rendersi conto dello stato e dei bisogni delle popolazioni, apparve come un redentore ed accese molte speranze. Dappertutto giudicava le cause pendenti tra vassalli e feudatari, discuteva le questioni locali, dirimeva controversie, dava suggerimenti. Ogni villa, a mano a mano che avanzava, voleva fargli omaggio di una scorta. Quando giunse alle porte di Sassari il suo seguito era imponente, nella maggior parte costituito di cavalieri armati.

Il 28 febbraio Angioy entrò trionfalmente a Sassari, per porta sant'Antonio, avvolto nel suo mantello rosso, mentre le campane suonavano a festa, seguito da oltre mille cavalieri che si erano uniti a lui nella sua marcia attraverso l’isola, accolto da ali di popolo che lo acclamava: “viva Angioy, viva l’Alternos, non più duchi, non più marchesi e baroni, cadano preti e frati, bando ai traditori, viva la Nazione sarda, viva la libertà!”. Anche il Capitolo della Cattedrale, coi paramenti corali, aveva atteso l’alternos nella gradinata del Duomo intonando il Te Deum.
Nella casa dello zio canonico Arras, dove aveva trovato ospitalità, Angioy riceveva la visita di molti nobili repubblicani. Intanto, come Alternos prima di tutto provvide a riordinare la Milizia e a ricostituire la Reale Udienza nella città. Ridato ordine e tranquillità alla città, egli pensò alle scorte di grano che si erano esaurite, dispose l’esecuzione di lavori pubblici, assorbendo la disoccupazione.
Anche i feudatari ed altri che erano fuggiti cominciarono a rientrare, mentre nei villaggi le popolazioni, deposte le armi, erano tornate al lavoro, sempre decise comunque a non pagare i diritti feudali.

Ciò fu motivo di un vivace scambio di corrispondenza tra l’Angioy e il viceré che insisteva perché i vassalli venissero costretti a pagare, ma l’Angioy faceva rilevare che la missione affidatagli era quella di cercare un accordo tra vassalli e baroni e non di fare l’esattore. Egli era convinto che la soluzione della controversia non potesse essere che il riscatto, così come chiedevano le stesse comunità dei villaggi.
Il suo impegno per reprimere gli abusi feudali indusse i feudatari sardi a screditarlo presso il viceré ed a tramare contro di lui.
L’Angioy pensò allora di compiere assieme ai suoi seguaci una marcia dimostrativa sulla capitale per ottenere l’esplicito riconoscimento dei diritti dei vassalli sardi.
E’ probabile che egli, come farebbe intendere in un suo successivo memoriale, avuto notizia della fulminea offensiva di Napoleone Bonaparte e delle vittorie dei francesi che si susseguirono dal 12 al 22 aprile con le quali l’esercito piemontese era stato completamente battuto, abbia voluto approfittare della debolezza dei Savoia e tentare un atto di forza fidando nell’aiuto dei francesi.

Il 2 giugno lascia Sassari e con una buona scorta che si ingrossa via via , scende nel Logudoro verso il Marghine puntando su Macomer, dove deve affrontare con i suoi 5000 uomini a cavallo la resistenza degli abitanti del villaggio. Di qui scende a Santulussurgiu e raggiunge l’8 giugno Oristano.
Solo ora apprende la conclusione della guerra in Piemonte, con l’armistizio di Cherasco (28 aprile) al quale seguirà la pace di Parigi (15 maggio).
Dirà nel suo memoriale scritto in esilio che: “se la guerra del ’96 fosse continuata due settimane di più, la Sardegna sarebbe stata libera sotto la protezione della Repubblica francese “.

l’Angioy giunto ad Oristano scrisse subito al viceré per un abboccamento, per esporre i motivi dell’agitazione delle comunità del Logudoro: in caso di rifiuto minacciava la separazione del distretto del Logudoro.
A questo punto gli stamenti, timorosi di un’azione rivoluzionaria, inoltrarono un’istanza al viceré per la destituzione dell’Angioy da alternos dichiarando lui e i suoi seguaci ribelli alla monarchia.
Dopo aver atteso il 9 e il 10 una risposta del viceré, che invece lo aveva destitutuito, Angioy aveva creduto opportuno abbandonare la città, anche per evitare i saccheggi dei suoi uomini, in buona parte privi di vettovaglie.
Dopo uno scontro sul ponte del Tirso con gli oristanesi che, irritati per i ripetuti saccheggi, si erano uniti alle truppe inviate dalle autorità cagliaritane, l’Angioy , ormai sfiduciato, decise la ritirata.
Rientrò a Sassari con pochi fedelissimi la sera del 15, e la popolazione, che era all’oscuro dei provvedimenti viceregi, lo accolse con acclamazioni.

Imbarcatosi a Porto Torres su un veliero diretto ad Aiaccio, allo scopo di evitare l’arresto, dalla Corsica passò a Livorno e poi a Genova.
Andò a Torino, con l’intento più che difendersi di accusare il viceré e gli stamenti. Ma la Segreteria di Stato ed il re non potevano certo accogliere le ragioni dei vassalli sardi contro i feudatari. Le repressioni, gli arresti e le impiccagioni sarebbero continuate in Sardegna. Sembra inoltre che si pensasse di assassinare l’Angioy.
Così Giommaria Angioy preparò la fuga. Riuscì ad allontanarsi da Casale, dove dimorava durante l’istruzione della sua causa, e si imbarcò a Genova per raggiungere la Francia, dove morì esule nel 1808.


In Sardegna la repressione fu dura e sanguinosa: i villaggi di Thiesi, Bono, Tissi, Osilo, Bessude, Banari, Usini, Santulussurgiu furono tra quelli più colpiti dall’intervento repressivo delle truppe. Molti furono i morti negli scontri, molte le condanne capitali, moltissimi gli arresti.

Sassari fu il principale teatro della spietata punizione dei seguaci dell’Angioy: il giudice Giuseppe Valentino fece impiccare l’avvocato Gavino Fadda, Antonio Vincenzo Petretto e Antonio Maria Carta nel 1796, l’avvocato Gavino Davilla e il medico Gaspare Sini nel 1797, mentre veniva arrestato il parroco di Semestene, don Murroni; nel 1802 verrà condannato Francesco Cilocco che era tornato dalla Corsica per un nuovo tentativo di sollevare le popolazioni.