domenica 16 giugno 2013

JORGE LUIS BORGES vita e opere



Jorge Luis Borges è nato il 24 agosto 1899 a Buenos Aires.


 Dal 1914 al '21 segue i suoi genitori in Europa. Frequenta gli studi a Ginevra e in Spagna. 


Nel 1925, Borges incontra Victoria Ocampo, la donna che sposerà quarant'anni dopo. Con lei stabilisce un'intesa intellettuale destinata a entrare nella mitologia della letteratura argentina.


L'attività pubblicistica di Borges è infaticabile.


Ma egli è afflitto da una forma incurabile di miopia; la cecità progressiva, da fattore fisiologico, esplode con virulenza in un nucleo metaforico che nutre l'opera narrativa di Borges e ne alimenta la leggendaria visionarietà.


Tra il '33 e il '34, tale visionarietà sfocia nell'invenzione della storia come menzogna, come falso, plagio, parodia universale.


 Nel 1938 lo scrittore ha un incidente che lo costringe per parecchio tempo all'immobilità, dopo un attacco di setticemia che ne minaccia gravemente la vita.
Questa drammatica situazione provoca in Borges il terrore di una perdita totale di creatività. Nulla di più falso. 


Negli anni della malattia, lo scrittore argentino concepisce alcuni tra i suoi capolavori, che vengono raccolti e pubblicati nel '44 col titolo di Ficciones. A distanza di cinque anni escono anche i racconti di Aleph.


A questo punto, Borges è uno dei maggiori scrittori argentini di tutti i tempi. Virtuosista di razza, conferma la sua fama scendendo sul piano della saggistica pura, con le sue Otras Inquisiciones (1952).


Nel 1955 Borges viene nominato direttore della Biblioteca Nazionale, ciò che aveva sempre sognato di fare. Con spirito eminentemente borgesiano, lo scrittore commenta così la nomina: "E' una sublime ironia divina ad avermi dotato di ottocentomila libri e, al tempo stesso, delle tenebre".


E' l'inizio di un lungo e fecondissimo tramonto, nonostante la morte avvenga molto più tardi, il 14 giugno 1986. Accanto a Borges è la sua seconda moglie, l'amatissima Marìa Kodama.


Labirintica, regno di specchi e falsi piani, l'opera di Borges ha stabilito il primato della linea fredda, trionfante nella prosa latina fino all'avvento del Realismo Magico di Garcia Marquez, che pure è una diretta emanazione delle suggestioni visionerie dello scrittore argentino. Non è possibile pensare alla tradizione postmoderna, alla letteratura di Calvino e di Eco senza l'esistenza dei libri di Borges, autentico giardino in cui i sentieri si biforcano e si uniscono nel medesimo istante.

Il sistema filosofico di Borges
Borges ricorda che la preoccupazione filosofica fu sua fin da bambino, quando il padre gli rivelò, con l'aiuto di una scacchiera, i paradossi di Zenone: Achille e la tartaruga, il volo immobile della freccia, l'impossibilità del movimento.
Essi gli forniranno da un lato le basi del suo pensiero su infinito, tempo e realtà, e dall'altro lo spunto per la costruzione delle sue inquietanti situazioni al limite: essi sono dunque i fondamenti della sua opera, che possiamo ben caratterizzare come una letteratura del paradosso.

Il Paradosso di Borges
Borges ammette ciò che tutti gli idealisti ammettono, il carattere allucinatorio del mondo, ma l'uso che Borges fa dei paradossi è paradossale esso stesso. In essi un sogno così ben sognato da sembrare realtà si tradisce, e ci permette di svelarne la finzione: "Noi abbiamo sognato il mondo. Lo abbiamo sognato resistente, misterioso, visibile, ubiquo nello spazio e fermo nel tempo; ma abbiamo ammesso nella sua architettura tenui ed eterni interstizi di assurdità, per sapere che è finto"
Una tale posizione è sorprendente non tanto per il suo contenuto filosofico, quanto per il suo contesto geografico: essa si situa infatti in una linea di pensiero orientale. Pensiamo, ad esempio, al cantonese Huineng, sesto patriarca del Buddismo Zen: la sua via per l'eliminazione dell'io e della realtà passava appunto attraverso i paradossi. Oppure alla scuola Rinzai, una della due principali dello Zen giapponese, che a tutt'oggi usa il paradosso nella forma del koan per raggiungere il risveglio, o satori.
Stimolato dai paradossi, che lo spinsero a dubitarne la realtà ed a contemplarne l'infinità, Borges trovò nel tempo una fervida sorgente di pensieri e di ispirazione, e ad esso dedicò una serie di mirabili saggi.
Borges ritiene il tempo "un tremulo ed esigente problema, forse il più importante della metafisica". Egli è sensibile alle sue inerenti oscurità: ad esempio, che non se ne può determinare la direzione (impossibile da verificare), o che non lo si può sincronizzare (se il tempo è un processo mentale, come possono condividerlo migliaia di uomini, o anche due soli uomini diversi?). 
La sua spiegazione dell'eternità è, come al solito, paradossale: "il numero di tutti gli atomi che compongono il mondo è, benché smisurato, finito; e perciò capace soltanto di un numero finito (sebbene anch'esso smisurato) di permutazioni. In un tempo infinito, il numero delle permutazioni possibili non può non essere raggiunto, e l'universo deve per forza ripetersi".
Viaggiando nel tempo e nello spazio, Borges scoprì l'infinito anche nella letteratura orientale, a partire da quella araba delle Mille e una notte: un libro che va "dipanando una serie infinita di atti impersonali compiuti da uno qualunque o da nessuno". Egli ne ricorda la notte centrale, "dove la regina Shahrazad (per una magica distrazione del copista) si mette a raccontare testualmente la storia delle Mille e una notte, a rischio di tornare un'altra volta alla notte in cui racconta, e così all'infinito". "In quella notte il re ode dalla bocca della regina la propria storia. Ode il principio della storia, che comprende tutte le altre, e anche - in modo mostruoso - se stessa".
Borges fu un gran sacerdote del culto dei libri, la sua vita fu "consacrata meno a vivere che a leggere", e la sua memoria registrò più i libri che lesse che le cose accadutegli. Egli si spinse al punto di affermare che l'uomo è ciò che legge, non ciò che scrive.
Tale affermazione rivela una vera e propria mistica della lettura: essa si manifestò nelle credenze che la differenza fra autori e lettori sia "banale e fortuita", che fra di essi si instauri "un dialogo, una forma di relazione", "una collaborazione e quasi una complicità", e che "i buoni lettori siano cigni anche più tenebrosi e rari che i buoni autori". In una parola, che la lettura sia un atto creativo. 

Opere di Borges
Le prime opere di Borges sono poesie di argomento soprattutto argentino. Tra queste prime opere, è possibile segnalare un gruppo che rivela una tendenza alla riflessione e al lavorìo intellettuale sulla e della memoria, che sarà poi una caretteristica del Borges successivo: Fervore di Buenos Aires (Fervor de Buoens Aires, 1923), Luna di fronte (Luna de enfrente, 1925), Quaderno di San Martín (Cuaderno de San Martín, 1929). 
Negli anni Trenta è il passaggio alla prosa. Scrive la biografia "inventata" di Evaristo Carriego (Evaristo Carriego, 1930), i racconti "falsificati" di Storia universale dell'infamia (História universal de la infamia, 1933), e i saggi, a carattere divagante: Discussione (Discussión, 1932), Storie dell'eternità (História de la eternidad, 1935). 
Le cose migliori sono probabilmente i racconti di Finzioni (Ficciones, 1944), e L'Aleph (El Aleph, 1949). Borges qui trova il suo stile e il suo contenuto, consistente nell'arte di inventare una trama su rari e complessi riferimenti libreschi e eruditi. Borges usa le cifre di una mitologia letteraria in cui sono presenti quali simboli alcuni elementi: la biblioteca, il labirinto, gli scacchi, lo specchio. Rientrano in questo universo il senso imprecisato dello spazio e del tempo, e l'uso di "generi" letterari definiti all'epoca "minori" come il poliziesco. 
Con la definizione di questo "universo borgesiano", le sue opere si concentrano sempre di più: le prose de L'artefice (El hacedor, 1960), L'elogio dell'ombra (El elogio de la sombra, 1965); i racconti: Il manoscritto di Brodie (El informe de Brodie, 1970), Il congresso (El congreso, 1971), Il libro di sabbia (El libro de arena, 1975); le pagine di viaggio di Atlante (Atlas, 1984). Nei libri di poesia Borges accentua gli elementi discorsivi e filosofici: L'altro, lo stesso (El otro, el mismo, 1964), L'oro delle tigri (El oro de los tigres, 1972), La moneta di ferro (La moneda de hierro, 1976), La cifra (La cifra, 1979). 
Opere di saggistica sono: Altre inquisizioni (Otras inquisiciones, 1960), Nove saggi danteschi (Nueve ensayos dantescos, 1982).
In collaborazione con Bioy Casares, Borges ha scritto: Sei problemi per don Isidro Parodi (Seis problemas para Don Isidro Parodi, 1942), Un modello per la morte (Un modelo para la muerte, 1946), Cronache di Bustos Domecq (Crónicas de Bustos Domecq, 1967). 
In collaborazione con Margarita Guerrero ha scritto: Manuale di zoologia fantastica (Manual de zoologia fantástica, 1957) ristampato poi con aggiunte e con il titolo Il libro degli esseri immaginari (El libro de los seres imaginários, 1968).

BORGES - LA BIBLIOTECA DI BABELE

L'INFINITO LA MEMORIA LA TECNOLOGIA


BORGES – FUNES O DELLA MEMORIA





“Funes o della memoria” (“Funes el memorioso”, tratto da Ficciones, 1944) è un amaro racconto di Jorge Luis Borges nel quale si narra la storia, ambientata in Uruguay a fine Ottocento, di un giovane, Ireneo Funes, la cui condanna è quella di avere una prodigiosa memoria che gli permette di cogliere ogni dettaglio di tutto ciò che lo circonda. Il “cronometrico Funes” è un giovane uruguayano dai tratti indiani, un tipo bislacco e taciturno, la cui vicenda viene resa da un narratore identificabile con l’autore. Se da un lato Funes riesce a ricordare ogni cosa con estrema facilità, dall’altro non è in grado di formulare idee generali, la sua memoria registra solo particolari e non concetti compiuti. Questa condizione lo conduce, infine, all’isolamento e all’incomunicabilità


il racconto è ambientato nel periodo storico di fine 1800, in Uruguay, in un mondo ancora rurale ma già pronto a lanciarsi nel nuovo secolo, che sarà il secolo dell’industria e delle invenzioni, dei meccanismi, delle grandi esposizioni commerciali e scientifiche, dunque un mondo sospeso tra due visioni della vita, una (al tramonto) ancora semplice e in qualche modo magica e una seconda (agli albori) pronta ad ubriacarsi di tecnologia al punto tale da farne la propria religione e la propria forma accettabile di magia. Anche il protagonista è un povero contadino ma che ha una straordinaria capacità di sapere sempre l'ora esatta.
Il narratore garantisce sulla verità di ciò che andrà narrando, definisce il periodo temporale (1884-1887), la zona geografica (Fray Bentos), il tipo di rapporto che lo ha legato al protagonista, il numero di volte in cui lo ha incontrato (tre) e ci specifica anche che la sua testimonianza sarà imparziale e, si intuisce, andrà a far parte di un qualche compendio insieme ad altre testimonianze sulla figura di Ireneo Funes el memorioso, che dunque – immaginiamo - deve aver raggiunto una fama che ha travalicato i confini della cittadina dove si svolgono i fatti.









Questo primo approccio serve a stringere col lettore il cosiddetto patto di credulità, come spesso avviene nella tecnica dei romanzi storici o realistici, (per esempio attraverso la finzione del ritrovamento del manoscritto come fa MANZONI nei Promessi sposi). E’ l’io narrante stesso che ha vissuto ciò che racconta, dunque va creduto
La parte centrale del racconto ci propone le circostanze del primo incontro, casuale e fugace (nel “giorno sette febbraio dell’anno ottantaquattro”), dove intravvediamo Ireneo poco più (o poco meno) che bambino che corre e, senza interrompere la sua corsa risponde alla domanda del cugino del narratore che gli chiede che ore sono. La risposta, " Mancano quattro minuti alle otto ", fornita quasi come un riflesso condizionato,  ci fornisce le prime indicazioni di una forma di diversità che in qualche modo affligge il ragazzo, anche se ancora non sappiamo se si tratti di virtù o di patologia. 
La terza parte ci informa dell’incidente occorso al protagonista, della sua infermità e del conseguente dono (o condanna) che l’incidente ha portato come sua conseguenza
Non è importante indagare la causa medica, né se questo potenziamento abnorme della memoria sia verosimile o meno nella realtà , ciò che importa sono le sue conseguenze. Il narratore, e dunque testimone oculare della vicenda, si trova a Fray Bentos, ha con sé una serie di testi in latino, e un dizionario, col quale si aiuta. 
Venutolo a sapere Ireneo chiede di poter fruire per qualche giorno di qualche testo latino e del dizionario. La richiesta è singolare, e così pare al narratore, che gli fa comunque avere il Gradus ad Parnassum di Quicherat e la Naturalis Historia di Plinio. 
Dopo pochi giorni il narratore riceve un telegramma poco rassicurante sulle condizioni di salute del padre e, prima di intraprendere il viaggio di ritorno, si reca alla casa di Ireneo per tornare in possesso dei suoi libri.
Qui ha inizio il motivo centrale e fondamentale del racconto, che contiene il suo messaggio filosofico.

Il narratore entra nella stanza di Ireneo, ma la stanza è buia, e può solo sentire una voce che parla correntemente in latino. Per tutta la durata della sua conversazione col protagonista non avrà modo di distinguerne i lineamenti, solo col sopraggiungere delle prime luci della mattina vedrà il volto del suo interlocutore. 
Il tema della della cecità, seppur temporanea, è importante per Borges (che l’ha vissuta di persona). La cecità rappresenta il modo con cui Borges percepisce il mondo: un mondo chiaroscuro, eternamente circonfuso di ombre. Alla difficoltà del narratore di mettere a fuoco la realtà si contrappone la lucidità folle di Ireneo che è letteralmente condannato a ricordare tutto. Nulla sfugge alla sua capacità mnemonica, neppure il più piccolo particolare, ed egli è sprovvisto di una capacità selettiva che gli permetta di isolare i particolari essenziali da quelli importanti. Ciò che fa del suo potenziale dono una condanna. E infatti Ireneo racconta e spiega i suoi progetti assurdi e dementi di cercare un sistema che gli permetta di ordinare e controllare in un sistema la mole infinita dei suoi ricordi (una ricerca di verità e di conoscenza assoluta della realtà che risulta impossibile e appunto soltanto folle).
La memoria di Ireneo non è altro che una delle incarnazioni possibili dell’infinito e dell’impossibilità dell’uomo non solo di gestirlo, ma addirittura di capirlo.
 Più che di fronte al dramma del non poter non ricordare ci troviamo faccia a faccia col dramma dell’inutilità del ricordo perché esso stesso soverchia il significato e lo annulla nella ripetizione infinita di immagini e sensazioni inutilizzabili. 




 “Pedro Leandro Ipuche ha scritto che Funes fu un precursore dei superuomini, “uno Zarathustra selvatico e vernacolare”; non lo metto in dubbio, ma non si deve dimenticare che fu anche un cittadino di Fray Bentos, con certe incurabili limitazioni.

Funes  è  uno strano superuomo,  strano perché la sua superiore intelligenza sembra opera di un prodigio di natura o di uno scherzo, una beffa del destino, e Funes è solo un povero contadino  . Come il pastore errante di LEOPARDI la sua intelligenza non è frutto della civiltà, della cultura, del progresso: egli rappresenta l’uomo nel suo essere primitivo e istintivo, di fronte all’INFINITO ed al suo MISTERO.
“Noi, in un’occhiata, percepiamo: tre bicchieri su una tavola. Funes: tutti i tralci, i grappoli e gli acini d’una pergola. Sapeva le forme delle nubi australi dell’alba del 30 aprile 1882, e poteva confrontarle, nel ricordo, con la copertina marmorizzata d’un libro che aveva visto una sola volta, o con le spume che sollevò un remo, nel Rio Negro, la vigilia della battaglia di Quebracho. Questi ricordi non erano semplici: ogni immagine visiva era legata a sensazioni muscolari, termiche ecc. Poteva ricostruire tutti i sogni dei suoi sonni, tutte le immagini dei suoi dormiveglia”.

La sua superiore capacità di memorizzare non lo rende come il superuomo di Nietzche al di sopra del bene e del male, nel senso che non lo rende capace di  controllare e dominare il mondo, ma al contrario, egli finisce con essere al di fuori del bene e del male, cioè incapace di inserirsi nella realtà, di comprenderla nei suoi nessi logici, nel suo svolgersi nel  tempo e nello spazio, troppo occupato a selezionarla e suddividerla in sempre più piccoli particolari : non può apprezzarla nel suo quadro d’insieme e quindi non è capace di viverla, di interagire con essa.

“Funes discerneva continuamente il calmo progredire della corruzione, della carie, della fatica. Notava i progressi della morte, dell’umidità. Era il solitario e lucido spettatore d’un mondo multiforme, istantaneo e quasi intollerabilmente preciso […]Gli era molto difficile distrarsi dal mondo; Funes, sdraiato sulla branda, nel buio, si figurava ogni scalfittura e ogni rilievo delle case precise che lo circondavano”.


Ireneo Funes, legato al narratore da una conoscenza occasionale e quasi del tutto superficiale, in giovane età rimane paralizzato dopo un incidente a cavallo.
 Da quel momento in avanti la sua memoria diviene prodigiosa (e dunque mostruosa) e la sua vita si biforca: da una parte quella psichica ossessionata e condannata dalle funzioni sproporzionate che ha raggiunto la sua memoria, e dall’altra l’immobilità fisica che lo vede costretto a vivere tutti i suoi giorni in una stanza e, al più, verso sera, a guardare una minima porzione di mondo dalla finestra. Privato del movimento, perde il senso dello spazio fisico, che non può più percorrere in  corsa illimitatamente. Gli rimane la vista che Ireneo Funes gode dalla FINESTRA, che però non è quella potenzialmente infinita a cui Leopardi  aspira guardando dal colle di Recanati attraverso la SIEPE.

«Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare»


L’INFINITO di LEOPARDI è un INFINITO SPAZIO- TEMPORALE E SPIRITUALE  (corrispondente all’IMMORTALITA’) costituito da un TUTTO nel quale la mente razionale del poeta  annega e si perde  -“in questa immensità s’annega il pensier mio e naufragar m’è dolce in questo mare”-   perché  egli sa che la Natura crudele ha creato l’uomo sempre insoddisfatto, in cerca di una felicità infinita, un bene illimitato, e nello stesso tempo lo ha creato mortale in un mondo esclusivamente materiale e perciò finito e limitato. Ciò renderà l’uomo sempre sofferente  ed infelice. L’infinito fisico spaziale per Leopardi non esiste realmente, ma è una finzione della mente, dell’immaginazione, un’illusione creata proprio dalla difficoltà (la siepe che impedisce l’intera visuale) ad arrivare ad una risposta certa con i mezzi sensibili.

L’INFINITO di Funes è  una visione realmente infinita perché ogni oggetto, ogni colore, ogni sfumatura, ogni alito di vento vengono percepiti dal protagonista in maniera lancinante e perfetta, totale, e, peggio, ogni particolare registrato rimanda la mente di Ireneo ad altri ricordi memorizzati che a loro volta richiamano altri ricordi, e così via in maniera esponenziale.


Ciò lo porta ad appiattire il senso del tempo in un eterno presente – perché il passato  è sempre vivo nel suo ricordo come se non trascorresse – . Fuori dallo spazio e dal tempo  egli è un non-uomo, un automa senza capacità di soffermarsi sui sentimenti, sui legami con cose e persone, schiacciato dal peso  delle cose e dei  ricordi



Il filosofo Paolo Rossi parla così della differenza tra la memoria di un cervello umano e quella di una macchina:

"C'è un film molto bello che si chiama "Blad Runner", dove ci sono dei replicanti che sono assolutamente identici agli esseri umani e che vivono in mezzo a loro e che non sanno di essere dei replicanti. Il loro problema è questo. E poi c'è — nel momento in cui si affaccia nella mente di una di queste replicanti, che nel caso specifico era una donna — il dubbio di essere un replicante, cioè di non essere un vero essere umano, ma un automa, quindi qualcuno che ha una memoria che gli è stata inserita nel cervello come in una macchina e che non è la memoria vera; ecco allora c'è una crisi di questa persona che, guardando delle vecchie fotografie ingiallite su un pianoforte, si domanda se sono ricordi veri o sono falsi. Il dubbio che quei ricordi siano falsi la getta in una angoscia terribile, perché è una persona che non può avere nostalgia del passato. Ecco l'assenza della nostalgia, l'assenza della memoria è, come si dice comunemente - mi sembra una cosa tuttora valida - una perdita dell'identità. "



La memoria, dice Paolo Rossi, costituisce l'identità di un individuo, ma anche l'identità collettiva, ma il punto è capire come si ottiene questa identità, che tipo di memoria viene attivata, che genere di ricordi ne fanno parte e qui entra in gioco il tema della dimenticanza, cioè la memoria deve essere necessariamente selettiva ed il cervello deve necessariamente cancellare la maggior parte dei ricordi che risultano superflui ed il cui affollamento ucciderebbero la mente portandola alla pazzia:

"Come la mia identità è data dalla memoria personale, allo stesso modo, entro certi limiti, posso dire che l'identità di un gruppo è data dalla sua memoria, tant'è vero che ogni gruppo, ogni partito o qualunque collettività umana, anche un club di persone che si riunsicano per giocare a carte, alla fine, costruiscono dei simboli che sono quelli che richiamano loro le finalità o gli scopi per i quali queste persone in qualche modo si trovano. Però, ecco, viene da dire che il tema della dimenticanza non è un problema marginale, la memoria e la dimenticanza sono due cose... Anche qui vale un'analogia forte. Cosa vuol dire ricordare, ad esempio ricordare la propria vita. Vuol dire selezionare, ricordare pezzi, istanti, momenti. Se uno fa il caso opposto, per così dire, rovescia il problema, se uno ricordasse tutto sarebbe in una situazione spaventosa, sarebbe in una situazione patologica. C'è un racconto di Borges molto bello che si chiama "Fugnès el memorioso". "Fugnès el memorioso" è un uomo che non può dimenticare nulla e poiché non può dimenticare non ha ricordi, ma ha una folla sterminata di cose che gli uccidono la mente, gli uccidono il cervello. Dice Borges: non come vediamo il bicchiere su un tavolo, ma vede tutti gli acini dei grappoli d'uva, che formano la pergola che sta sopra il tavolo, ricorda tutto il tessuto che ha visto, quel bicchiere in quel modo specifico, ricorda, quindi, i singoli atti, istante per istante. Quindi, se non c'è dimenticanza, non c'è neppure memoria, c'è soltanto questa specie di cosa spaventosa che sarebbe il ricordare tutto.

 Paolo Rossi

http://www.emsf.rai.it/tv_tematica/trasmissioni.asp?d=392



"Noi siamo già l'oblio che saremo"



IL TEMA DELLA FOLLIA - ALIENAZIONE ED INCOMUNICABILITA’ DELL’UOMO LEGATO AI MITI DELLA MODERNITA’ – LA MACCHINA-  è trattato anche da
PIRANDELLO  - NEI QUADERNI DI SERAFINO GUBBIO OPERATORE






Serafino Gubbio, napoletano, dopo aver esaurito una piccola eredità  facendo  una «vita da scapigliato» fra giovani artisti, va Roma e si imbatte in un vecchio amico sardo, Simone Pau, che lo conduce  nel suo albergo, un Ospizio di Mendicità. Qui arriva una troupe di attori della Casa cinematografica La Kosmograph per la ripresa «di un interno dal vero» . La troupe ha come direttore di scena Nicola Polacco, amico d'infanzia di Serafino. Polacco gli offre un lavoro di operatore alla Kosmograph, un ruolo adatto  a chi ha raggiunto la «perfetta impassibilità» e può agevolmente ridursi a «una mano che gira la manovella» della macchina da presa. Serafino accetta l'impiego anche perché vuole osservare da vicino  una delle attrici , Varia Nestoroff,un'inquietante avventuriera russa, che, con la sua prorompente personalità aveva distrutto la vita di persone a lui care. Varia Nestoroff era stata infatti fidanzata di un giovane pittore di Sorrento, Giorgio Mirelli, che Serafino aveva conosciuto quando era ancora studente. Giorgio viveva con la nonna e la sorella , fidanzata ad Aldo Nuti,  attore dilettante. Alla vigilia delle nozze tra Giorgio e Varia, Aldo Nuti, per dimostrare all'amico l'indegnità della donna che stava per sposare, divenne l'amante di Varia. Giorgio, ferito dal tradimento, si uccise. L'orrore del tragico evento allontanò i due amanti. Ma Aldo Nuti, diviso tra amore e odio per la donna - che intanto era divenuta prima attrice della Kosmograph - per riavvicinarla si fece scritturare come attore dalla Casa cinematografica. La Nestoroff è ora l'amante di un attore siciliano, Carlo Ferro, uomo all'apparenza grossolano  e violento . I rapporti di Varia con gli uomini sono oggetto di particolare studio da parte di Serafino Gubbio che osserva: «Nemici per lei diventano gli uomini, a cui ella s'accosta, perché la aiutino ad arrestare ciò che di lei le sfugge: lei stessa».
Alla Kosmograph si prepara un nuovo film di soggetto indiano, La donna e la tigre, con una scena finale molto rischiosa, in cui un cacciatore dovrà affrontare una tigre e abbatterla.
Il ruolo del cacciatore è affidato a Carlo Ferro, ma all'ultimo momento Aldo Nuti ottiene di sostituirlo.
L'attore, seguito da Serafino Gubbio con la sua manovella, entra in una grande gabbia, le cui sbarre sono state preparate per simulare la giungla; attorno al set Varia Nestoroff e altri attori assistono alla scena. Al «si gira», nella gabbia viene introdotta la tigre; Aldo Nuti imbraccia il fucile, ma rivolge la mira sulla Nestoroff che cade morta; la tigre si lancia su Nuti e lo sbrana prima di essere abbattuta. A Serafino, che con impassibile professionalità aveva ripreso la scena, la voce, per il terrore gli «s'era spenta in gola, per sempre». Il film, per la morbosa curiosità suscitata dalla «volgare atrocità del dramma», sarà un successo e Serafino, ridotto a un «silenzio di cosa», acquisterà l'agiatezza, ma continuerà « - solo, muto e impassibile - a far l'operatore».



Siamo, con la prima edizione del romanzo, nel 1915: le macchine che incombono nella nostra vita sono quelle belliche, in una atmosfera pervasa da fremiti futuristi. Il presagio di Pirandello è quello di una Terra devastata dalla follia distruttiva dell'uomo/macchina e ancor di più, il presentimento che, forse, proprio questo esito apocalittico possa essere l'unica via rigeneratrice dell'essere uomo: "mi domando se veramente tutto questo fragoroso e vertiginoso meccanismo della vita, che di giorno in giorno sempre più si complica e s'accelera, non abbia ridotto l'umanità in tale stato di follia, che presto proromperà frenetica a sconvolgere e a distruggere tutto. Sarebbe forse, in fin dei conti, tanto di guadagnato. Non peraltro, badiamo: per fare una volta tanto punto e a capo".

E così afferma
SVEVO   nel profetico finale  de  LA COSCIENZA DI ZENO-


L’UMANITA’ E GLI ORDIGNI
"Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Questa non può appartenere che alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo. Allorché la rondinella comprese che per essa non c'era altra possibile vita fuori dell'emigrazione, essa ingrossò il muscolo che muove le sue ali e che divenne la parte piú considerevole del suo organismo. La talpa s'interrò e tutto il suo corpo si conformò al suo bisogno. Il cavallo s'ingrandí e trasformò il suo piede. Di alcuni animali non sappiamo il progresso, ma ci sarà stato e non avrà mai leso la loro salute.
        Ma l'occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c'è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l'uomo diventa sempre piú furbo e piú debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l'ordigno non ha piú alcuna relazione con l'arto. Ed è l'ordigno che crea la malattia con l'abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del piú forte sparí e perdemmo la selezione salutare. Altro che psico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni prospereranno malattie e ammalati.




        Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno piú, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po' piú ammalato, ruberà tale esplosivo e s'arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un'esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie".






Nella letteratura gli scrittori hanno espresso soprattutto la paura della modernità e della macchina, anche quelli che volevano esaltarla l’hanno fatto attraverso immagini aggressive e violente, o profondamente negative, dimostrando più o meno inconsciamente l’incertezza e la debolezza dell’uomo rispetto alla capacità di controllo delle immense forze che la macchina può scatenare .
Le immense possibilità che la tecnologia offre all’uomo sono in effetti tali da illuderlo di poter dominare il mondo come appunto il “superumo” di Nietzche, che paga il pegno disumanizzandosi e diventando  un signore del male. Abbiamo visto che le caratteristiche della macchina per quanto perfette possano essere ed infinitamente superiori alle possibilità umane, non possono sostituire l’uomo senza modificare la sua essenza, ma non potranno mai superare l’uomo in qualità bensì soltanto in quantità.
Quando gli uomini impareranno a servirsi della tecnologia e della scienza come mezzi utili a migliorare l’esistenza dell’umanità, a ricostituire il giusto rapporto con la natura e l’equilibrio tra progresso e sviluppo a livello globale, allora forse le macchine e gli automi non faranno più paura a nessuno perché nessuno potrà correre il rischio di scambiarli con gli esseri umani dotati di cuore e sensibilità.

Il Figlio di Bakunin - Divx film completo

venerdì 14 giugno 2013

14 giugno nasce CHE GUEVARA




OTTANTA ANNI FA , IL 14 GIUGNO 1928 , NASCEVA A ROSARIO , IN ARGENTINA ERNESTO RAFAEL GUEVARA DELLA SERNA , MEGLIO NOTO COME "CHE" GUEVARA , GRANDE  FIGURA DI POLITICO E RIVOLUZIONARIO .




MORIRA' A NEMMENO QUARANT'ANNI , IL 9 OTTOBRE 1967 , A LA HIGUERA , IN BOLIVIA , PER MANO DEI MILITARI LOCALI E SU ORDINE DIRETTO DEL COMANDO STRATEGICO DELLA CIA ( CENTRAL INTELLIGENCE AGENCY ) STATUNITENSE .

I SUOI ASSASSINI PENSARONO BENE DI FARNE SPARIRE LA SALMA , PER EVITARE DOMANDE IMBARAZZANTI SULLE BARBARE MODALITA' DELL'ESECUZIONE E , SOPRATTUTTO , CANCELLARNE IL RICORDO E LA MEMORIA .



 MA NEL 1997 IL CORPO VENNE  RITROVATO E SUCCESSIVAMENTE TRASFERITO NELL'AMATA CUBA E SEPOLTO NELLA CITTA' DI SANTA CLARA , DOVE EGLI , TANTO TEMPO PRIMA , AVEVA COMBATTUTO E VINTO , LA BATTAGLIA DECISIVA PER LE SORTI DELLA RIVOLUZIONE CUBANA .   

SULLA SUA BREVE E INTENSA VITA SONO STATI VERSATI FIUMI DI INCHIOSTRO E DI PAROLE , MA , PIU' DI QUALSIASI BIOGRAFIA , LA SUA MEMORIA PERENNE E' RAPPRESENTATA , NELL'IMMAGINARIO COLLETTIVO , DA UNA FAMOSA FOTO , SCATTATAGLI DALL'AMICO ALBERTO KORDA NEL  LONTANO 1960 .




L'IMMAGINE FU PUBBLICATA PER LA PRIMA VOLTA DALL'EDITORE ITALIANO FELTRINELLI QUALCHE ANNO DOPO E DA QUEL GIORNO HA CONTINUATO A FARE IL GIRO DEL MONDO FINO A DIVENTARE LA PIU' DIFFUSA DI SEMPRE E  HA CONTRIBUITO A MANTENERE VIVO IL RICORDO DEL COMANDANTE GUERRIGLIERO E AD ALIMENTARNE LA LEGGENDA , PERPETUANDONE L'IMMORTALITA' ALLE FUTURE GENERAZIONI .

QUALSIASI CRITICA ALLA SUA IDEOLOGIA E ALLA SUA AZIONE RIVOLUZIONARIA RIMANE SOVRASTATA DALLA FIGURA UMANA ED IDEALE DELL'EROE , PROPRIO COME EGLI AVEVA PREDETTO , PRONUNZIANDO L'ULTIMO , FATIDICO AMMONIMENTO :

"SPARATE DUNQUE , VOI UCCIDETE SOLO UN UOMO..." .




NESSUN'ALTRA EPIGRAFE PUO' ESSERE EFFICACE DELLE SUE STESSE PAROLE:



              " OVUNQUE CI COLGA LA MORTE , SIA ESSA BENVENUTA

                 SE ALTRE MANI SI LEVERANNO AD IMBRACCIARE I NOSTRI FUCILI

                 ED ALTRE VOCI AD INTONARE NUOVI CANTI DI LOTTA E DI VITTORIA . "



E , COME IL TEMPO NON E' RIUSCITO A SBIADIRNE LA FIEREZZA DELLO SGUARDO , PER SEMPRE GIOVANE E RIBELLE , IN UNA VECCHIA FOTO INGIALLITA , COSI' NON POTRA' MAI SOFFOCARE L'ECO DELLA SUA VOCE DI LIBERTA' E CORAGGIO

 HASTA SIEMPRE , COMANDANTE .


venerdì 7 giugno 2013

PRIMO LEVI - IL SISTEMA PERIODICO





Primo Levi
Nato a Torino nel 1919 e moro nel 1987, romanziere, saggista e poeta italiano. Studiò chimica all'università di Torino dal 1939 al 1941 e successivamente, mentre lavorava come ricercatore chimico a Milano, decise di unirsi a un gruppo di resistenza ebraica formatosi in seguito all'intervento tedesco nel Nord d'Italia nel 1943. Catturato e deportato al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, sopravvisse perché impiegato in attività di laboratorio. Riprese il suo lavoro come chimico industriale nel 1946, ma si ritirò nel 1974, per dedicarsi interamente alla scrittura. I profondi strascichi psicologici dell'internamento nel campo di sterminio furono probabilmente la causa del suo suicidio, avvenuto nel 1987. Tra i numerosi libri di Primo Levi sono fondamentali Se questo è un uomo (1947), che racconta delle condizioni di vita dei deportati di Auschwitz; La tregua (1958), che descrive il lungo viaggio verso casa attraverso la Polonia e la Russia dei sopravvissuti ai campi di sterminio; Il sistema periodico (1975), una serie di storie, spesso di ispirazione autobiografica, intitolate col nome degli elementi chimici intese come metafore di tipi umani; Se non ora, quando?(1982), con cui ritorna sulla tematica della guerra e dell'ebraismo. Fra le altre sue opere sono i racconti di Storie naturali (1963), Vizio di forma (1971) e Lilít e altri racconti (1981); le poesie dell'Osteria di Brema (1975) e Ad ora incerta (1984); i romanzi La chiave a stella (1978) e I sommersi e i salvati (1986); i saggi dell'altrui mestiere (1985). Dalla Tregua ha tratto un film Francesco Rosi nel 1997.

PRIMO LEVI  IL SISTEMA PERIODICO
Il sistema periodico è il quinto libro pubblicato da Primo Levi. Si tratta di una raccolta di racconti edita nel 1975.
Questo libro è stato scritto da Levi dopo 30 anni dal ritorno da Auschwitz, quando, dopo aver raccontato l'accaduto di quegli anni nei suoi primi libri, spinto dal successo ottenuto con quelli, decide di raccontare qualcosa della sua vita, e di quando aveva esercitato il suo mestiere, quello del chimico. Infatti dà al suo libro il titolo "Il sistema periodico" con chiara allusione al sistema di classificazione degli elementi chimici elaborato nel 1869 dal chimico russo Dmitrij Mendeleev, base della chimica moderna. 
Una volta fissato sulla carta il lessico famigliare di questa specie rara, condannata di lì a qualche decennio allo sterminio per mano nazista, Levi intreccia tra loro – saltando di elemento in elemento – ben tre macrostorie: la storia sua personale, dalla prima adolescenza fino all’età adulta; la storia della sua generazione calpestata dal fascismo, dalle leggi razziali approvate nel 1938, dalla guerra mondiale, da una breve e inesperta lotta partigiana e infine dalla deportazione nei Lager; la terza e ultima macrostoria è quella dei chimici «appiedati», che lottano corpo a corpo con la materia per carpirne i segreti e piegarla, procedendo per prove ed errori. Levi racconta storie di chimici artigiani che si arrangiano adoperando i cinque sensi più il buonsenso, e disegna in questo modo un’autobiografia personale e collettiva.
Struttura
"Il sistema periodico" é diviso in 21 capitoli, ognuno di quali ha il nome di un elemento chimico, e ognuno dei quali racconta un episodio preciso della sua vita che riguarda in qualche modo l'elemento che dà il nome al capitolo. Il libro ha una struttura a cornice, e la cornice è appunto la chimica, con tutti i suoi elementi, chimica a cui Levi deve molto, infatti è grazie ad essa se si è salvato dalla strage degli ebrei durante la  seconda guerra mondiale, lavorando come chimico al campo di concentramento di Auschwitz.
Più o meno tutti i capitoli del libro riguardano situazioni di vita quotidiana o situazioni di lavoro nelle quali allo scrittore è capitato di dover avere a che fare con un determinato elemento, che appunto dà nome al capitolo. Ci sono solo tre casi in cui non è così, ed in due di questi (piombo e mercurio) Levi ci fa subito capire che sta trattando un caso particolare, infatti fa stampare quei due capitoli che non hanno niente a che fare con la sua vita, ma che sono racconti scritti da lui mentre lavorava ad una cava di nichel in un carattere diverso da tutto il resto del libro, usando una tecnica molto in voga oggi e di cui lui è stato un po' il predecessore.
L' altro capitolo un po' fuori da quelli che sono i canoni del libro è l' ultimo, quello che ha titolo "Carbonio", nel quale Levi racconta la storia di un atomo di quel così comune elemento chimico. Anche in questo caso lo scrittore ci anticipa che l' argomento che tratterà in quel capitolo sarà diverso dagli altri, scrivendolo espressamente in un passo del libro stesso.
La cornice che Levi usa come sottofondo, come scusa per raccontarci, come scrive nel sottotitolo, i guai passati, è dunque la chimica.
Tempo
Prima, durante e dopo la II guerra mondiale
Durata
Circa trenta anni
Spazio
Torino, Milano, Aushwitz.
Sintesi
Ogni racconto, in totale sono 21, ha il nome di un elemento chimico ed è ad esso in qualche modo collegato:
Argon In questo capitolo Primo Levi associa l’argon ai suoi antenati. Essi sono nobili come l'argon, e come esso sfuggono da eventuali contatti con individui diversi da loro.
Si narra l'infanzia dell'autore, la comunità degli ebrei piemontesi e la loro lingua, il gergo che fonde ebraico e piemontese dei suoi antenati. L’autore racconta le abitudini, lo stile di vita della sua famiglia e di alcune vicende di essa. Racconta di tutti i suoi parenti e  di come vissero la loro vita. Racconta, inoltre, di come vivevano, parlavano e pensavano, in generale gli ebrei del suo tempo.

Idrogeno Primo frequenta ancora il liceo quando comincia i suoi primi esperimenti nel laboratorio del fratello di Enrico. I due amici sedicenni, affascinati dal materiale che vi trovano, sperimentano la capacità del calore di modificare le forme di alcuni metalli. Al momento di provare col vetro, scoprono che esso non si piega normalmente, come i metalli, ma si divide in sottili filamenti, prova a fonderlo e soffiarlo. I due amici provano anche a preparare l'ossidulo d'azoto, e infine si cimentano con l'elettrolisi dell'acqua. Quest'ultimo esperimento riesce particolarmente e Primo, per annientare i dubbi dell'incredulo Enrico, fa esplodere la boccia di idrogeno con un fiammifero.

Zinco All'università Primo segue le lezioni di Chimica Generale e Inorganica del professor P, che a Primo era simpatico per il rigore sobrio delle sue lezioni. Aveva notato che P. non indossava la camicia fascista, ma solo una specie di bavaglino nero sotto la giacca. La sola volta che Primo fu ammesso nel suo studio trovò scritto sulla lavagna :”Non voglio funerali né da vivo né da morto”.
 Il suo primo esperimento consiste nella preparazione del solfato di zinco.
Durante la prova Primo si accorge che Rita, una ragazza un po’ chiusa e senza amici, sta guendo il suo stesso esperimento. Rita da tempo era nelle attenzioni del ragazzo, ed egli prova a comunicare con lei, ma non riesce a trovare le parole giuste. Primo la aiuta  nell’esperimento e così riesce a riaccompagnarla a casa.

Ferro Mussolini ha occupato l'Albania quando Primo entra nel corso di Analisi Qualitativa del secondo anno del professor D.. Qui impara a distinguere i metalli dai non metalli contenuti in una certa polverina. Conosce Sandro, un giovane piuttosto isolato come lo è d’altronde Primo da quando sono emanate le leggi razziali. Tra i due nasce una profonda amicizia, grazie alla quale Sandro migliora il suo andamento scolastico, e Primo impara ad amare le montagne, passione dell'amico.
Qui si racconta un episodio dell’adolescenza dell’autore e della sua amicizia con Sandro(l’uomo di ferro) il quale non parlava molto con gli altri. Con le leggi razziali, però, l’autore si sente escluso dagli altri e i avvicina a Sandro. Questi gli insegna a riconoscere gli elementi dal vivo piuttosto che dai libri, in quanto montanaro. I due eseguono varie scampagnate e qui se ne racconta una, sul monte Dente di M.. Alla fine della storia l’autore ricorda il suo amico che fu ucciso dai nazisti nel ’44.

Potassio Nel gennaio del 1941 la Germania si appresta a comandare l'Europa. Gli ebrei come Primo si riuniscono nella Scuola della Legge, ma per il giovane tutte le certezze, prima tra tutte la chimica, sembrano svanire. In quell'anno segue il corso di esercitazioni di fisica tenuto da un giovane insegnante, di cui presto diventa assistente. Si occupa di chimica, purifica il benzene, distillando prima in presenza di sodio, poi con il potassio, sostanza questa altamente incendiaria.

Nichel Alla fine di novembre Primo riceve la visita di un tenente che gli propone un lavoro come chimico al laboratorio presso una cava d'amianto. Deve estrarre una piccola percentuale di nichel dai residui della lavorazione principale; Primo accetta con entusiasmo. Conosce molte persone e molte storie ma, data la situazione politica, mantiene un certo distacco dai colleghi. Dopo molte prove, Primo riesce a trovare il metodo per estrarre una quantità maggiore di nichel, ma lo abbandona per l'elevato costo. Da questa esperienza nascono le due storie dei capitoli successivi.

Piombo Il protagonista di questo racconto è l'ultimo discendente della dinastia dei Rodmund, una famiglia di cercatori di piombo. Vive a Thiuna ma, dopo aver trovato un ricco giacimento e averlo venduto, decide di mettersi in viaggio con il ricavato verso le terre calde. Sostando in un paese di mare, viene a conoscenza dell'esistenza di un'isola detta Icnusa (SARDEGNA), ricca di ogni tipo di metallo e abitata da strani esseri. Rodmunt parte e scopre che fortunatamente solo la prima diceria è vera. Rodmund vi si stabilisce, compra degi schiavi che fa lavorare in una cava di piombo, mette su famiglia e fonda un villaggio chiamato Bacu Abis.

Mercurio  Il caporale Daniel K. Abrahams viene mandato con la moglie Maggie e una guarnigione in un'isola chiamata Desolazione per controllare che un uomo (Napoleone) non scappasse da un'isola vicina (Sant'Elena). A missione conclusa Daniel e la moglie decidono di rimanere sull'isola disabitata. Dopo tre anni arrivano due condannati, Willem ed Hendrik e pochi mesi dopo due naufraghi, Andrea e Gaetano. Daniel inizia a provare odio per i due olandesi che sembrano molto interessati a sua moglie. Dopo un'eruzione del vulcano dell'isola, scoprono in una grotta una grande quantità di mercurio, imparano a distillarlo e, grazie ai contatti che avevano mantenuto con il resto del mondo, lo barattano con quattro donne per i nuovi arrivati. Ma alla fine le coppie si formano in modo del tutto inaspettato: Willem sposa una mulatta che poteva essere la madre, Gaetano una ragazza guercia, Andrea una negra elegante, Hendik Maggie, e Daniel una ragazza piccola e magra con due bambini di nome Rebecca e Johnson.

Fosforo Nel giugno del1942 Primo si rende conto che il lavoro nelle cave è inutile. Decide perciò di cambiare mestiere: una mattina lo chiama al telefono un certo dottor Martini, che incontra la domenica seguente all'hotel Suisse. Gli propone un lavoro come chimico in una fabbrica farmaceutica per cercare un rimedio al diabete. Accetta e si reca subito alla fabbrica. Qui conosce Loredana, la sua segretaria, e ritrova Giulia, sua compagna di università che gli spiega come sia facile non lavorare affatto in quella strampalata fabbrica. Primo comunque studia gli antociani sui conigli e l'acido fosforico sulle piante. Intanto i rapporti tra Primo e Giulia si fanno più stretti e, soltanto quando lui l'aiuta a rimettersi con il suo ragazzo, si accorge di averla amata. Pochi mesi dopo però la ragazza si sposa.

Oro Nell'autunno del 1942 Primo vive a Milano con sei amici torinesi: Euge, Silvio, Ettore, Lina, Vanda e Ada. I sette vivono scrivendo poesie, come se la guerra non ci fosse. L'8 settembre segna però nei sette la maturazione di una coscienza politica. Primo scende in campo coi partigiani, ma il 13 dicembre del1943 viene catturato insieme ad Aldo e Guido. Dopo essere stati interrogati sono rinchiusi in celle separate  e qui Primo pensa che lo attenda un'imminente morte. Durante questa esperienza conosce un prigioniero cercatore d'oro del fiume Dora.

Cerio Nel novembre del 1944 Primo si trova nel campo di Auschwitz, dove lavora come chimico per la fabbrica della Buna. Ruba per sopravvivere qualsiasi cosa dal laboratorio, e un giorno vi trova delle barrette di ferro-cerio, con cui si potevano fabbricare degli accendini, da vendere allo spaccio del lager. Con l'aiuto dell'amico Alberto riescono a guadagnare viveri a sufficienza fino all'arrivo dei Russi. Alberto non sopravvive alla marcia di ritorno.

Cromo Primo pranza con vecchi amici e si raccontano storie di vita vissuta. Nel 1949 Primo lavorava in una fabbrica di vernici e un suo collega gli aveva raccontato che ai suoi tempi i termometri non esistevano e per sapere se le vernici erano cotte si usava gettare una cipolla nell'olio di lino cotto e, quando questa iniziava a rosolare, la temperatura era quella giusta. Cometto racconta di aver lavorato in una fabbrica dove, per abitudine, si continuava a usare la cipolla come se fosse un ingrediente, non conoscendo la storia della temperatura dell'olio. Bruni racconta invece di aver trovato, sempre in una fabbrica di vernici, negli ingredienti un preparato di cloruro di ammonio che non aveva nessun motivo di trovarsi lì. Primo spiega allora che l'aveva messo lui; quando lavorava alla Duco doveva trovare una soluzione per recuperare tonnellate di vernici andate a male. Primo trova un'errata trascrizione della quantità di cromo negli elenchi degli ingredienti e per rimediare sperimenta con successo il cloruro di ammonio.

Zolfo Lanza lavorava di notte, in tempo di guerra, in una fabbrica presso una caldaia a pressione che conteneva zolfo; quando il termometro arrivava a 200°C doveva svuotare lo zolfo. Ma una notte la manetta non si aziona e comincia a uscire vapore dalle fenditure; Lanza decide di svitare i bulloni per lasciar sfiatare la pressione ma la caldaia minaccia di esplodere. Decide così di aprire la ventola di aspirazione e tutto si calma. Lanza svuota la caldaia e, a turno completato, si avvia a lasciare il lavoro.

Titanio Felice sta verniciando un armadio in cucina quando la piccola Maria lo nota e inizia a fargli domande. Affascinata dal lavoro dell'omone chiede che cosa sia quella strana vernice: titanio. L'uomo si accorge che Maria vorrebbe toccare e disegna per terra un cerchio attorno alla bambina. A lavoro concluso la libera cancellando il cerchio.

Arsenico Primo si dedica ad analizzare con l'amico Emilio i composti che i pochi clienti portano loro. Un giorno un vecchio ciabattino gli porta dello zucchero che dopo un'accurata analisi dei due si rivela contenere arsenico. Quando il cliente ritorna per il risultato delle analisi non si stupisce affatto: infatti lo sospettava perché un suo rivale poco onesto glielo aveva mandato e datolo al gatto questo aveva vomitato.

Azoto Un giorno entra un cliente particolare: è il proprietario di una fabbrica di cosmetici che rischia il fallimento perché i suoi rossetti si dilatano poco tempo dopo l'applicazione. Primo si fa dare la ricetta del rossetto e dopo qualche studio conclude che l'ingrediente da aggiungere era l'allossana. Scopre che si trova negli escrementi delle galline e dei rettili sotto forma di azoto e, dopo una insolita ricerca tra le fattorie e un museo di serpenti, rinuncia alla ricerca dell'allossana.

Stagno Continua il lavoro in privato con Emilio. Ora Primo guadagna fondendo lo stagno per i suoi pochi clienti. Ma visti gli scarsi guadagni, i due sono costretti a smantellare il laboratorio e istallarne uno più precario e disordinato nella casa dei genitori di Emilio.

Uranio Abbandonato anche questo lavoro, Primo è assunto nel Servizio Assistenza Clienti che si occupa della vendita diretta al pubblico di alcuni prodotti. Un giorno fa visita a un certo signor Bonino che gli racconta una strana storia. In tempo di guerra era fuggito da una caserma di tedeschi e si dirigeva verso Rivoli, quando era atterrato un aereo di tedeschi che gli chiesero la direzione da seguire per la Svizzera. Come ringraziamento gli consegnarono un pezzo di uranio. Primo abbastanza incredulo prende l'ordinazione e su consiglio dello stesso cliente analizza il metallo. Si tratta di cadmio.

Argento Primo riceve una lettera per un invito a cena per i venticinque anni dalla laurea; non era firmata ma capisce essere di Cerrato. Al ritrovo i due parlano a lungo, e Primo esprime l'idea di scrivere un libro sulla loro professione. L'amico contribuisce con una sua storia. Tempo prima aveva lavorato in una fabbrica dove si preparavano le carte per le radiografie e dove la pulizia doveva essere curata esageratamente. Nonostante ciò qualche impurità era sopravvissuta perché alcune consegne agli ospedali erano risultate danneggiate. Dopo molti controlli Cerrato capì che dipendeva del bromuro d'argento che veniva scaricato nelle acque del torrente che arrivavano alla lavanderia che si occupava delle loro divise.

Vanadio Primo lavora ancora alla fabbrica di vernici quando gli affidano una partita di vernici che non si asciugava. La resina che causava ciò veniva importata da un'industria tedesca che Primo contatta. Il doctor Muller gli consiglia di aggiungere una certa quantità di vanadio. Primo si accorge di conoscere quel dottore: lavorava alla fabbrica di Buna durante il suo soggiorno nel lager. Primo gli manda una lettera con l'edizione tedesca di ''Se questo è un uomo''. Il dottore risponde confermando la sua identità. Afferma di essere pentito di ciò che era avvenuto, ma si scusa dicendo che lui non immaginava minimamente cosa avvenisse ai prigionieri di Aushwitz. I due fissano un appuntamento al quale Muller non si reca perché muore prima.

Carbonio In questo capitolo finale Primo rivela l'intento del libro. Semplicemente la storia di un mestiere, il chimico. Si diverte poi a raccontare i percorsi di un atomo di carbonio, tutti fantasiosi quanto possibili.
Passa, infatti, dall’aria all’acqua alle foglie delle piante, fino all’uomo che lo espelle come calore, in tutti questi passaggi quel piccolo atomo di carbonio viene trasformato e ritrasformato, per sempre, fino alla morte. In questo racconto si è partiti dal 1840, con un atomo di carbonio presente nell’aria, e, dopo molti passaggi e giri intorno al mondo attraverso animali o vegetali, nel 1960 muore.

Personaggi
Primo Levi Giovane timido e piuttosto privo di fiducia in se stesso, durante l'adolescenza credeva di essere condannato a una ''solitudine mascolina''. Durante il liceo adotta la chimica come la somma verità nella quale è custodito il suo destino. Dopo l'emanazione delle leggi razziali che proclamavano l'elogio alla purezza, la chimica, che invece sembra voler insegnare la grandezza delle contaminazioni, cessa di essere fonte di verità. L'amicizia con Sandro riempie il suo bisogno di libertà, e le avventure sulle montagne lo rendono più forte. Riscatta la sua condizione di essere inferiore, come imponeva la dottrina fascista, con una forte volitività: lavora sempre con molto zelo sia in miniera che nelle fabbriche, anche se spesso il suo lavoro è pressoché inutile. Durante il suo stanziamento nel lager riesce a registrare ogni particolare di quel mondo, serbandone così un ricordo molto vivo quando esce. Scrivendo i libri su questa esperienza riesce a ritrovare una relativa pace.
Enrico Compagno di liceo di Primo, molto attivo ma non troppo bravo a scuola. La chimica, a differenza di Primo, è per lui solo uno strumento per un guadagno sicuro. Il suo coraggio, la sua testardaggine e la sua sincerità affascinano Primo.
Sandro Delmastro Compagno di Università di Primo. Taciturno e isolato diventa amico di Primo proprio per queste sue caratteristiche, che quasi per costrizione aveva anche Primo. Magro ma muscoloso ama le montagne tanto da far avvicinare anche l'amico a questo mondo. D'estate fa il pastore di pecore delle quali ha grande capacità di mimarne l'aspetto. Sarà un eroico partigiano ucciso dai fascisti
Dottor Martini Commendatore svizzero, tarchiato, quasi pelato, sulla sessantina. E' proprietario della Wander, una fabbrica svizzera di medicinali che cura con un rigore esagerato. Ha una certa fretta nel parlare con Primo forse per ridurre all'essenziale i suoi rapporti con un ebreo.
Emilio Amico di Primo. Convince Levi a lasciare il lavoro nella fabbrica di vernici per dedicarsi con lui ad una attività privata. Pieno d'iniziativa non ha troppa paura delle conseguenze delle sue azioni, tanto che cambia lavoro ogni sei mesi.
Bonini Caporeparto di una fabbrica. Uomo piuttosto trasandato e disordinato. Si rivela paricolarmente interessato alle opere di Primo. Racconta una sua esperienza in tempo di guerra che in gran parte sembra inventata, e Primo invidia in lui la facilità con cui si costruisce il passato che più gli aggrada.
Doctor Muller In gioventù, trascinato dall'entusiasmo per il regime di Hitler, si era legato al partito fascista. Era entrato poi come chimico nella fabbrica di Buna ad Auschwitz, dove aveva conosciuto Primo. ''Non era mai venuto a conoscenza di alcun elemento che sembrasse inteso all'uccisione degli ebrei'' e pensava che il lager fosse stato costruito per ''proteggere gli ebrei e contribuire a farli sopravvivere''. Chiede un colloquio con Primo e gli chiede un giudizio sul suo comportamento perchè ha un ''passato da superare''.

Stile
Il romanzo è un insieme di racconti che non seguono alcuna linearità se non quella della memoria dell'autore; la struttura è quindi a intreccio, ricca di analessi e prolassi (flash back ed anticipazioni). La sintassi è caratterizzata da una prevalenza di ipotassi. Il registro usato è medio. Il lessico è semplice; compaiono termini propri della chimica, termini in lingua ebraica, latina, tedesca.

Scrittura
Il messaggio contenuto in questa opera riguarda il significato della chimica intesa come scienza degli elementi, scoperta della natura, indagine sul perché della vita, i suoi meccanismi, crescita e maturazione dell’individuo attraverso l’esperienza e lo studio, scoperta dell’ordine e la armonia della natura, eppure della sua imprevedibilità: come dipenda da ognuno di noi saper operare con delicatezza e con saggezza, agire nei rapporti con le persone e le cose con rispetto ed empatia e saper prendere la vita con serietà e coraggio ma anche allegria ed ironia; come dall’osservazione della natura e dei suoi elementi derivi l’insegnamento della vita, i suoi valori di tenacia, coraggio, curiosità, amore e tolleranza, ma anche violenza e male e sacrificio, che tutto sta in noi, nella nostra volontà e capacità di agire per migliorare il mondo; l’importante è non essere indifferenti, ma sentirsi parte integrante del mondo che ci circonda e di cui siamo responsabili.

Troviamo inoltre in alcuni passi del libro qualche riflessione di Primo Levi riguardo alla sua attività di scrittore. Levi, all'inizio della sua carriera, scrive riguardo all'olocausto in qualità di sopravvissuto ad esso, ed il fine di ciò che scrive è esclusivamente informativo, ossia scrive per far sapere al mondo intero come andavano le cose là ad Auschwitz. Preposto questo, c' è da dire che nei libri successivi Levi cambia lo scopo e il destinatario dei suoi scritti. Infatti non scrive più per informazione sullo sterminio degli ebrei, ma si dedica a raccontare, come in questo libro, la sua vita. Raccontando la sua vita, tuttavia, non può non parlare dell'olocausto, esperienza che lo ha completamente cambiato. Lo fa in modo più spiccio, ma lo fa.
Ricorre frequentemente nel modo di scrivere di Levi il fatto di incitare il lettore a leggere l'opera che lui ritiene la sua più importante: "Se questo è un uomo" citandola molte volte nei suoi altri libri; infatti la prima cosa che fa quando conosce una persona nuova, o incontra una vecchia conoscenza dopo parecchio tempo è mandargli una copia del suddetto libro.
Levi vuole far sapere a tutti quelli che leggono le sue opere come erano trattati gli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Lo scopo principale del suo scrivere è sostanzialmente divulgare informazioni, in qualità di ultimo sopravvissuto, riguardo all'olocausto.
C'è un'altra cosa da dire sul modo di scrivere di Levi: per lui il nemico perfetto non esiste. Per quanto egli possa odiare una persona, non gli attribuirà mai tutta la colpa di ciò che gli ha fatto passare, ma cercherà in qualche modo di scovare i lati positivi del suo nemico, di capire le ragioni per cui ha fatto ciò che ha fatto, di andare a fondo nella psicologia dell'individuo nemico per riuscire a discolparlo parzialmente di ciò che ha commesso. Infatti Levi ritiene che la colpa dello sterminio degli ebrei sia da attribuire a tutta l'umanità, che ha permesso un simile scempio di vite umane, non ad un singolo individuo che ha dato l'ordine di distruggere la razza ebrea. Questa caratteristica di Levi appare anche nel libro di cui si sta parlando, esattamente è evidente nel capitolo "Vanadio", dove lo scrittore "parla" per via epistolare con uno dei carnefici di Auschwitz, uno di quelli che <> come se parlasse con un vecchio amico rivisto dopo molto tempo; non riesce a odiarlo, sebbene il dottor Lothar Muller sia stato il responsabile della morte di molti suoi compagni.
Questo romanzo di Primo Levi è un’opera particolare, una specie di diario della sua vita, un’opera autobiografica, che però non segue un ordine cronologico ma solo il filo della memoria attraverso associazioni di idee. L’opera di Levi può essere compresa tra le opere del NEOREALISMO,  perché descrive la realtà storica, sociale e politca e mira a denunciare i mali e le ingiustizie, con particolare riferimento alla guerra , al fascismo, alle persecuzioni razziali.  
Nello stesso tempo si può notare la presenza dell’introspezione psicologica - esso non è scritto in terza ma in PRIMA PERSONA e percorre la crescita del protagonista dall'adolescenza all'età matura- e l’interesse dell’autore per i valori e gli ideali dell’uomo, quindi la REALTA’ non è solo quella materiale, come il riferimento alla chimica potrebbe far pensare,  ma invece  è soprattutto quella spirituale, con i suoi moti irrazionali ed i suoi sensi di colpa, le sue tendenze misteriose legate alle diverse personalità e caratteri di ogni individuo. Così in quest’opera è fondamentale la presenza del SIMBOLO; infatti molti degli elementi chimici nominati  non sono che simboli di stati d’animo, valori, ideali, altri rappresentano i differenti modi di affrontare la vita, dall’incoscienza e spensieratezza della giovinezza alla matura consapevolezza dell’età adulta.
Alla fine comunque la chimica insegna che ogni comportamento umano, anche se misterioso o apparentemente insensato, ha una sua motivazione e con l'osservazione e l'intelligenza lo possiamo capire e indirizzare.



SI PUO’ PARAGONARE AL ROMANZO POSITIVISTA E VERISTA (VERGA), E A QUELLO POST-DECADENTE COME LA COSCIENZA DI ZENO DI ITALO SVEVO