domenica 25 settembre 2011

giovedì 22 settembre 2011

l'importanza di studiare ITALIANO


ALCUNI PARERI DEGLI STUDENTI DI  IV CHIMICI


Ho iniziato a studiare l’italiano alle elementari; non era una delle mie materie preferite, ma col passare del tempo e lo scorrere degli anni si è rivelata una delle materie che mi ha affascinato di più. Secondo me non si apprende solo tra i banchi di scuola, ma anche nella vita quotidiana, leggendo libri di vario genere come gialli e romanzi, e leggendo i quotidiani. È una  materia che arricchisce nella vita e serve soprattutto alla comunicazione tra le persone e per esprimere sensazioni e sentimenti. C’è un grande autore della letteratura italiana che mi ha colpito: è Francesco Petrarca, grande uomo e poeta che è riuscito ad esprimere e a far capire le proprie sensazioni attraverso le poesie indirizzate a Laura, la donna di cui era innamorato.
ILARIA

Ho sempre pensato che la capacità di esprimersi nel modo più corretto e la ricchezza del lessico non dipendano dallo studio scolastico, ma da un interesse personale nel voler approfondire argomenti e tematiche che richiamano curiosità. Certamente la scuola insegna la grammatica e le basi della letteratura. Degli studi passati ho trovato interessante lo studio del Dolce stil novo e di Dante, Petrarca e Boccaccio.
MARIA 



Studiare l’italiano per tutti noi studenti è molto importante perché ci serve per arricchire  non solo il nostro linguaggio ma anche la nostra cultura. Un altro aspetto molto importante è quello di saper leggere e scrivere, perché ci serve anche per essere sempre aggiornati su tutto. Quindi è molto importante leggere, sia libri che giornali, perché tutte le notizie che apprendiamo ci serviranno per un futuro. Negli anni scorsi un argomento che mi ha colpito è stata la Divina Commedia e soprattutto l’analisi dei canti dell’Inferno, tra cui in particolare il III e l'VIII.
SALVATORE


Secondo il mio parere studiare l’italiano significa soprattutto approfondire il lessico rafforzandolo, imparando dei termini nuovi ed educativi. Ho imparato a leggere grazie ai giochi educativi per bambini che mostravano l’alfabeto e diverse didascalie. Un po’ più tardi, con l’ingresso alla scuola primaria, grazie anche alle basi di lettura, ho imparato subito a scrivere. Detto questo, non sono un amante della lettura dei libri, però mi piace molto dare un’occhiata ai giornali, in particolar modo a quelli di cronaca e a quelli sportivi. Penso che ascoltare e parlare non siano capacità legate direttamente allo studio della materia scolastica, ma siano capacità da arricchire in modo più personale. Sono capacità utili per il futuro, più che altro perché quando si entrerà a far parte della vita lavorativa “saper parlare” bene sarà sicuramente importante.
LUCA

                                                                                                                         
A mio parere l’italiano è una materia fondamentale nella formazione dei ragazzi. Ho sempre avuto un interesse particolarmente accentuato per questa disciplina, sia per la parte lessicale e grammaticale, sia per quanto riguarda la “storia” che ha caratterizzato lo sviluppo della nostra lingua. Amo scrivere, ma ancor più leggere. Sin dalle elementari mi è stata insegnata l’importanza dei libri, e con l’andare degli anni, mi sono confrontata con diversi generi letterari e, attraverso la scuola, con le diverse correnti artistiche del nostro paese. Provo molto interesse per lo stile epico, nato in Grecia; in merito alla letteratura italiana, mi hanno colpito alcune opere del Rinascimento, come le gesta di Orlando nell’Orlando furioso” di Ariosto e il racconto delle crociate nell’opera “Gerusalemme liberata” di Tasso.
SANNA M



Io credo che l’italiano sia molto importante per la vita di tutti i giorni, cioè se io voglio dialogare con qualsiasi persona in qualsiasi contesto, devo utilizzare il linguaggio appropriato ad ogni situazione. Quindi l’italiano non è solo materia scolastica a sé. Devo essere sincero, non mi piace la mia grafia, mentre la letteratura italiana non mi è mai dispiaciuta. Le opere studiate durante l’anno scorso che mi hanno colpito maggiormente sono: il sonetto di Dante “Guido i’ vorrei che tu Lapo ed io”, dal significato intenso per l’epoca in cui è stato scritto.
LUIGI


Per me studiare l’italiano significa essere a conoscenza di un modello linguistico da utilizzare per poter parlare e per poterci esprimere nel miglior modo possibile con la comunità. Penso che leggere e scrivere sia uno dei metodi migliori per poter imparare la grammatica che caratterizza la nostra lingua. La lingua italiana nel tempo ha subito molte trasformazioni, infatti deriva dalla lingua latina. Un’opera che ho studiato e che mi è rimasta impressa è la Divina Commedia, opera scritta da Dante Alighieri, nella quale il poeta immagina un viaggio per liberare gli uomini dai peccati e vizi.
RAIMONDO



Per me l’italiano è la base della formazione di una persona. Già da piccoli ci viene insegnato a leggere e scrivere, all’inizio sembrano cose molto difficili da apprendere, ma poi con il corso degli anni uno approfondisce. Durante gli anni scolastici ho notato che ci sono persone portate per l’italiano e altre che nonostante tutto nella parte grammaticale fanno parecchi errori. È anche vero che saper leggere e scrivere ci serve per poter dialogare meglio con le persone. Io ho migliorato il mio italiano anche leggendo libri e giornali, però più che altro mi piace dedicarmi alla lettura di romanzi, di storie vere che si avvicinano alla mia vita, oppure devo ammettere che mi piacciono anche storie fantastiche che mi danno modo di svagare la mente. Le storie scritte nei libri hanno anche la capacità di portarci altrove con la mente. Ammetto che leggere arricchisce il nostro italiano, ma penso che anche ascoltare le persone colte sia un vantaggio in più. Per un futuro riguardo il campo del lavoro, saper parlare bene è un punto a nostro vantaggio; questo dipende a seconda del lavoro che svolgiamo.
MARIA GIOVANNA


Émile Zola



Romanziere e saggista francese (Parigi, 1840 - idem, 1902)   






http://www.lafrusta.net/pro_zola.html

In un  secolo, il XIX,  dominato dal romanticismo, Émile Zola, affascinato dal metodo scientifico, convinto che il romanziere sia un osservatore e uno sperimentatore, prosegue il sogno di una conoscenza totale del soggetto umano, di  cui il romanzo deve essere lo strumento. A questo scopo, si confonde con il naturalismo come estetica e come visione del mondo, ma di contro, il naturalismo si confonde con lui: egli ha, allo stesso tempo,  inventato ed esaurito il metodo e le sue realizzazioni possibili. Il suo naturalismo può essere definito anche come una sorta di "umanesimo scientifico", ossia un'attenzione sincera e partecipata per la classe  "la plus nombreuse et la plus pauvre" (Saint-Simon)  sostenuta da una visione scientifica - quella della sua epoca -del destino umano,   dove race, milieu et moment gravano sulla sorte del singolo e della collettività come un che di irrefutabile e di immodificabile,  una tara ereditaria appunto. D'altronde si schermirà lo stesso Zola nel Romanzo sperimentale: " Il naturalismo non mi appartiene, appartiene al secolo: agisce nella società, nelle scienze, nelle lettere e nelle arti, nella politica. E' la forza della nostra età".

Dalla miseria  al successo. Gli anni di formazione 
Zola non  nasce certo ereditiero, ma l’elemento ereditario conterà moltissimo nella sua opera. Nato a Parigi nel 1840, è   figlio  di un ingegnere veneziano incaricato dei lavori del canale di Aix-en-Provence, ed ha soltanto sette anni quando suo padre muore. Comincia allora un periodo di grande difficoltà, a volte sull’orlo della miseria, per sé e sua madre; è figlio unico e destinatario di una borsa studio, ristretto in un collegio dove compie studi di non grande livello, ma dove incontra Paul Cézanne, che sarà a lungo  suo amico. Nel 1858, a diciotto anni, raggiunge la  madre a Parigi, dove tenta di fare riconoscere i propri diritti dalla società del canale di Aix. Perde il  processo nel 1859; è l’anno in cui Zola è respinto all’esame di maturità. Questo fallimento lo induce ad abbandonare gli studi in  cerca di un lavoro: per tre anni non troverà nulla e e vivrà nella più nera miseria. Scrive tuttavia già molto - delle poesie, dei racconti, segnati della nostalgia di una Provenza idealizzata e di un romanticismo che presto tenterà di sopprimere nella propria vita interiore; partecipa ai seminari di amici pittori e si avvicina ai repubblicani oppositori della politica del Secondo impero.

Dall’editoria al giornalismo
Infine, nel 1862, trova una modesta occupazione presso la libreria Hachette, dove resterà fino al 1866. In pochi mesi diventa capo della pubblicità e annoda fitte relazioni con gli “autori di casa Hachette”, che hanno tra gli altri il nome di Taine, Littré. Fin dal 1863, Zola collabora a vari giornali; la sua attività di giornalista occuperà sempre un posto di rilievo nella sua vita. A partire dal 1866, tiene sull’Événement la cronaca letteraria ed  anche una d’arte. Collabora a l'Illustration,  con alcuni racconti. Scrive in un giornale, all’epoca di sinistra, Le Figaro, nel Globe, nel Gaulois e ne La Libre Pensée. Nel 1871, è giornalista parlamentare alla Cloche e collaboratore regolare del Sémaphore di Marsiglia e delMessager de l'Europe, mensile nel quale uscirà nel 1878 Romanzieri contemporanei e, nel 1879, L’arte poetica del movimento naturalista e Il romanzo sperimentale.

L’apprendistato del lavoro di scrittore
Gli anni passati da Hachette avevano permesso a Zola di comprendere il mondo delle idee e degli affari: come anche intuisce perfettamente il ruolo decisivo della pubblicità. Scrive e lavora instancabilmente, e, nel 1867, pubblica il suo primo romanzo, Thérèse Raquin, mentre getta sulla carta i piani della  storia di una famiglia (prevede dieci volumi, ne verranno fuori venti, la cui scrittura gli richiederà venticinque anni). Frequenta in quel periodo Manet, Monet, critici, intellettuali. Nel 1870, si sposa e definisce il suo progetto del Rougon-Macquart, senza nascondere che si tratta di farsi una posizione  e di guadagnare del denaro, cosa che avverrà, con il successo a partire dall’ Assommoir. Guadagnare è l’unica  forma possibile  di riscatto sociale  e la soddisfazione di una ossessione per lui: quella di rendere alla madre la sua persa dignità sociale.

Rougon-Macquart: il naturalismo. La società del secondo impero
Nel momento in cui Zola comincia il suo ciclo romanzesco, vasto affresco in venti volumi della “storia naturale e sociale di una famiglia sotto il Secondo impero”, il suo progetto estetico contrae un debito con Taine e  Claude Bernard da un lato, e Littré dell’altro: dai primi due, trae l’idea che il romanziere deve procedere come lo scienziato che sperimenta, e tenere, nelle sue osservazioni, il più gran conto delle condizioni socio-storiche che determinano il soggetto umano; da Littré, prende in prestito il metodo, che ha permesso al lessicografo di classificare scientificamente le materie ed arrivare all’impresa straordinaria del dizionario. Due testi teorici strutturano il lavoro di scrittura del Rougon-Macquart: la prefazione al primo romanzo del ciclo, La fortuna dei Rougon (1870), ed  Il romanzo sperimentale (uscito nel 1880). La prefazione delimita un territorio tematico - una famiglia francese sotto il Secondo Impero - e si propone di evocare,  attraverso i destini disparati dei suoi vari membri, le avventure e le trasformazioni dell’intero corpo sociale. Ciò vuol dire che la storia del momento avrà il suo giusto rilievo e che il formidabile movimento economico (fortune e rovine improvvise, affarismo e corruzione) che agita il Secondo Impero sarà in primo piano. A  metà percorso - Il romanzo sperimentale è coevo di Nana, il nono romanzo del ciclo -, Zola fa il punto su ciò che è diventato un’estetica: quella del romanzo naturalista, vero crogiolo dove i fatti raccolti sono sottoposti alla prova delle trasformazioni imposte dalle circostanze e dagli ambienti.

Una famiglia segnata dall’ereditarietà
Innanzi tutto, il romanzo di Zola non è una trascrizione oggettiva - né matematica - del reale: il romanziere è sempre un creatore, un temperamento che vede e rivela un angolo del mondo. Questo temperamento è guidato da una scelta, un filo conduttore nell’ oscurità del reale: per Zola, questo filo sarà quello dell’ereditarietà, mezzo che gli permetterà di classificare scientificamente i materiali del romanzo. 

Al vertice dell’albero genealogico dei Rougon-Macquart, c’è l’elemento ereditario della zia  Dide che partorisce secondo capriccio e le urgenze del momento. Primo romanzo della saga, La fortuna del Rougon è un vero romanzo delle origini: racconta la lotta di due figli di Dide, Pierre Rougon ed Antoine Macquart, il primo che si impadronisce della fortuna della madre a scapito del fratellastro. L’azione si svolge tra il 7 e l’11 dicembre 1851, alcuni giorni dopo il colpo di Stato di Luigi Napoleone Bonaparte: Rougon è, in scala ridotta, un usurpatore come Napoleone il Piccolo, e, come lui, riuscirà con il furto, il crimine e la corruzione. Il medico Pascal, l’ultimo romanzo, è una “messa in abisso” di tutta opera: biologo, il medico Pascal studia l’eredità, e la sua famiglia è l’ oggetto privilegiato di studio.  Lo sguardo del romanziere nel romanzo, rivela la tara originale, la pazzia della zia Dide, e, nonostante gli ostacoli, spiega a sua nipote Clotilde - che diventerà la sua amante - le leggi della vita e le forze della natura, alla quale, certamente, occorre fare affidamento. Il Rougon-Macquart si conclude con una morale semplice ma acquisita attraverso tante sofferenze, odi, crimini, illusioni, che riesce singolarmente grave: conoscere e amare la vita, viverla così come deve essere vissuta.
  
Una galleria di personaggi
Durante tutto il ciclo, Zola ha costruito intrighi e figure indimenticabili, inventato dei contrasti potenti che prendono nella memoria dimensioni epiche e mitiche: l’opposizione dei “grassi” – riccastri, felici e conformisti - e dei “magri” - sognatori idealisti -, nel Ventre di Parigi; il laboratorio dell’Assommoir: ingranaggio spaventoso d’alcolismo e violenza; la follia dell’oro e della carne in Nana, prostituta superba morta a diciannove anni, corrosa dal vaiolo, donna fatale dove l’uomo viene a perdersi; l’esigenza della creazione come un assoluto, ne L’ opera, dove il pittore Claude Lantier lotta disperatamente per ricreare la vita con tessuti e colori, e, altra vittima dell’ereditarietà, finisce per pendersi dinanzi ad un  quadro incompiuto; la fascinazione bruta che il meccanico Jacques Lantier prova, ne La bestia umana, per Lison, la sua locomotiva, che ama come una donna...  Le torbide speculazioni finanziarie ne Il denaro, dove l’urgenza e la febbre del denaro facile è contrapposta  l’ascetica vita del  marxista Sigismonde  che al freddo della sua mansarda  ripensa  nei suoi fondamenti la società. Di fronte a questi racconti, alcuni romanzi appaiono come veri racconti di fate: Una pagina d’amoreLa felicità delle signore o Il sogno.

Una rete di immagini e di miti
In questa saga che tratta tanti personaggi, eventi, fatti, che accumula i casi clinici senza mai separarli dal peso ossessivo del mondo sociale, dell’universo dei mestieri, dei piaceri, degli affari, passa  ciò che Michel Serres considera come la vera acquisizione di Zola. La sua “pretesa scientifica” non è dunque inutile, senza tacere che è diretta contro uno stile  romanzesco corrente nell’epoca che dissimula idealizzandoli o rimuovendoli i veri meccanismi sociali, mentre in Zola quella pretesa acquista una vera valenza politica: nominare e indicare quei meccanismi significa allora qualificarsi come uomo di sinistra e repubblicano. A questa  prima urgenza  se ne aggiunge immediatamente un’ altra, che fa di Zola uno scrittore autentico: i critici concordemente (soprattutto H.Mitterand)  hanno osservato che non si tratta  di una semplice notomizzazione o classificazione del reale ma piuttosto di  una sua trasfigurazione artistica, di una metamorfosi mitica, di cui il romanzo di Zola è il crogiolo, il laboratorio. Le forze cosmiche - la terra e le germinazioni potenti che la travagliano, o il cielo come evasione verso la purezza – al pari delle  forze di una natura indomita sono tutte là: il sesso, la violenza, che Freud chiamerà presto l’istinto di morte nell’uomo, la volontà di distruggere e distruggersi, il continente terrificante del mondo femminile, la pazzia, la furia del denaro e del piacere. A tutte queste parole converrebbero delle  maiuscole: sono allegorie, cosa che dà all’arte romanzesca di Zola un soffio epico che non impedisce a caratteri ed individualità di emergere e di essere artisticamente definiti.
Rougon-Macquart garantirà a Zola l’indipendenza finanziaria che desiderava, e ne gestirà la redditività alternando pubblicazione in giornali e in volumi, adattando per il teatro alcuni dei suoi romanzi e traendo vantaggio dagli scandali che accompagneranno molte delle sue opere.
  
Scritti militanti - Due nuovi cicli
Completati i Rougon-Macquart, Zola scriverà altri romanzi: Lourdes, uscito nel 1894 ed immediatamente messo all’indice; Roma, nel 1895;Parigi, nel 1898. Questo ciclo delle tre città descrive l’itinerario di Pierre Froment, figlio di un uomo di scienza e di una devota, nel quale si scontrano le forze della fine del secolo, la scienza ed il ritorno allo  spiritualismo. I quattro vangeli sono il seguito: Pietro ha finito per sposare Maria con la quale ha trovato la felicità; avranno quattro figli, nuovi apostoli, ai quali spetta realizzare la giustizia e la pace sulla terra. Matteo è l’eroe di Fecondità (1899), Luca quello di Lavoro (1900), Marco quello di Verità (1902). Zola muore, forse avvelenato dolosamente dai fumi del camino di casa,  mentre lavora a Giustizia, di cui Giovanni sarebbe stato l’eroe.

L'Affaire Dreyfus 
Ma piuttosto che per queste opere - importanti nella sua evoluzione spirituale, poiché costruiscono un’utopia  che prolunga il sogno di una riforma sociale al quale si  è appassionato -, gli ultimi anni della vita di Zola sono attraversati da due eventi importanti: uno, privato, il legame con  Jeanne Rozerot, nel 1888, che sarà la sua amante (Zola non abbandonerà la moglie)  e gli darà due bambini; l’altro, pubblico, nel 1898, la pubblicazione della Lettera alla Francia, il 6 gennaio, quindi, il 13, nell’Aurore, quella del J’accuseLettera aperta al Presidente della repubblica, Félix Faure. Convinto dell’innocenza del capitano Dreyfus, imputato di alto tradimento, ma effettivamente vittima di un antisemitismo virulento, Zola obbliga con quest’articolo i responsabili a fare scoppiare lo scandalo: designando i più alti capi militari come i complici di un crimine giudiziario, contribuisce a fare uscire il processo dalle porte chiuse dove si era voluto tenerlo. Dreyfus sarà riabilitato soltanto dopo la morte di Zola, che pagherà caro il suo coraggio: due processi, un esilio di alcuni mesi a Londra, uno scatenarsi di odi e di calunnie oscurarono la fine della sua vita. Si ritiene non a torto che la sua stessa morte sia dovuta all’affaire Dreyfus.

Il testimone di un’epoca
Poligrafo, lavoratore instancabile, creatore prolisso impegnato nei dibattiti del suo tempo in anni ricchi di  rivolgimenti e  scandali, dove la politica moderna inizia ad albeggiare, dove le carte si rimescolano -la classe operaia si organizza e prende coscienza di se stessa, il capitalismo
creatore di ricchezze   mostra  già la sua faccia oscura -, Zola è uno straordinario testimone. E non è un caso se una delle sue passioni durature (come per il nostro Giovanni Verga) sia  la fotografia, alla quale fu iniziato fin dal 1888 dal giornalista Victor Billaud. Scattò circa 6.000 fotografie: semplici foto ricordo, paesaggi naturali o urbani, ma anche ritratti originali nella loro composizione e veri quadri. Fotografo, Zola resta romanziere e si fa pittore: cattura cose viste, ma tutto documenta, tutto vuole “conservare”.
Il successo di Zola è stato e rimane immenso. Certamente, se si è imposto come una presenza essenziale nella cultura del suo tempo, è spesso agli scandali che egli lo deve - a forza di “rovistare nei rifiuti”, finisce per attirare l’attenzione -, ma fu scrittore sospetto all’ Académie Française, dalla quale arrivarono soltanto dinieghi alle sue ripetute candidature. Ma una certa cultura popolare lo ha sempre rivendicato, e gli adattamenti cinematografici delle sue opere  non si contano più. Come ha notato Giovanni Macchia ne Il Paradiso della ragione, la letteratura francese lungi da essere “misura” e razionalità, è nei fatti accumulo, disordine, vasta e smisurata vitalità di proporzioni. Se oggi si legge Zola, lo si deve considerare come un Balzac, un Tolstoj, un classico che ci fa capire che cos’è davvero la letteratura ( mentre se leggiamo gli autori di oggi è solo per vedere a che punto è arrivata). 


http://www.lafrusta.net/pro_zola.html


J'accuse

Da Wikipedia


«  Monsieur le Président,
permettetemi, grato, per la benevola accoglienza che un giorno mi avete fatto, di preoccuparmi per la Vostra giusta gloria e dirvi che la Vostra stella, se felice fino ad ora, è minacciata dalla più offensiva ed inqualificabile delle macchie. Avete conquistato i cuori, Voi siete uscito sano e salvo da grosse calunnie. Apparite raggiante nell'apoteosi di questa festa patriottica che l'alleanza russa ha rappresentato per la Francia e Vi preparate a presiedere al trionfo solenne della nostra esposizione universale, che coronerà il nostro grande secolo di lavoro, di libertà e di verità. Ma quale macchia di fango sul Vostro nome, stavo per dire sul Vostro regno – soltanto quell'abominevole affare Dreyfus! Per ordine di un consiglio di guerra è stato scagionato Esterhazy, ignorando la verità e qualsiasi giustizia. È finita, la Francia ha sulla guancia questa macchia, la storia scriverà che sotto la Vostra presidenza è stato possibile commettere questo crimine sociale. E poiché è stato osato, oserò anche io. La verità, la dirò io, poiché ho promesso di dirla, se la giustizia, regolarmente osservata non la proclamasse interamente. Il mio dovere è di parlare, non voglio essere complice. Le mie notti sarebbero abitate dallo spirito dell'uomo innocente che espia laggiù nella più spaventosa delle torture un crimine che non ha commesso. Ed è a Voi signor presidente, che io griderò questa verità, con tutta la forza della mia rivolta di uomo onesto. In nome del Vostro onore, sono convinto che la ignoriate. E a chi dunque denuncerò se non a Voi, primo magistrato del paese? Per prima cosa, la verità sul processo e sulla condanna di Dreyfus. Un uomo cattivo, ha condotto e fatto tutto: è il luogotenente colonnello del Paty di Clam, allora semplice comandante. La verità sull'affare Dreyfus la saprà soltanto quando un'inchiesta legale avrà chiarito i suoi atti e le sue responsabilità. Appare come lo spirito più fumoso, più complicato, ricco di intrighi romantici compiacendosi al modo dei romanzi feuilletons, carte sparite, lettere anonime, appuntamenti in luoghi deserti, donne misteriose che accaparrano prove durante gli appuntamenti. È lui che immaginò di dettare l'elenco a Dreyfus, è lui che sognò di studiarlo in una parte rivestita di ghiaccio, è lui che il comandante Forzinetti ci rappresenta armato di una lanterna, volendo farsi introdurre vicino l'accusato addormentato, per proiettare sul suo viso un brusco raggio di luce e sorprendere così il suo crimine nel momento del risveglio. Ed io non ho da dire altro che se si cerca si troverà. Dichiaro semplicemente che il comandante del Paty di Clam incaricato di istruire la causa Dreyfus, come ufficiale giudiziario nel seguire l'ordine delle date e delle responsabilità, è il primo colpevole del terribile errore giudiziario che è stato commesso. L'elenco era già da tempo nelle mani del colonnello Sandherr direttore dell'ufficio delle informazioni, morto dopo di paralisi generale. Ebbero luogo delle fughe, carte sparivano come ne spariscono oggi e l'autore dell'elenco era ricercato quando a priori si decise poco a poco che l'autore non poteva essere che un ufficiale di stato maggiore e un ufficiale dell'artiglieria: doppio errore evidente che mostra con quale spirito superficiale si era studiato questo elenco, perché un esame ragionato dimostra che non poteva agire soltanto un ufficiale di truppa. Si cercava dunque nella casa, si esaminavano gli scritti come un affare di famiglia, un traditore da sorprendere dagli uffici stessi per espellerlo. E senza che voglia rifare qui una storia conosciuta solo in parte, entra in scena il comandante del Paty di Clam da quando il primo sospetto cade su Dreyfus.
A partire da questo momento, è lui che ha inventato il caso Dreyfus, l'affare è diventato il suo affare, si fa forte nel confondere le tracce, di condurlo all'inevitabile completamento. C’è il ministro della guerra, il generale Mercier, la cui intelligenza sembra mediocre; c’è il capo dello stato maggiore, il generale de Boisdeffre che sembra aver ceduto alla sua passione clericale ed il sottocapo dello stato maggiore, il generale Gonse la cui coscienza si è adattata a molti. Ma in fondo non c’è che il comandante di Paty di Clam che li conduce tutti perché si occupa anche di spiritismo, di occultismo, conversa con gli spiriti. Non si potrebbero concepire le esperienze alle quali egli ha sottomesso l'infelice Dreyfus, le trappole nelle quali ha voluto farlo cadere, le indagini pazze, le enormi immaginazioni, tutta una torturante demenza. Ah! Questo primo affare è un incubo per chi lo conosce nei suoi veri dettagli! Il comandante del Paty di Clam, arresta Dreyfus e lo mette nella segreta. Corre dalla signora Dreyfus, la terrorizza dicendole che se parla il marito è perduto. Durante questo tempo, l'infelice si strappava la carne, gridava la sua innocenza. E la vicenda è stata progettata così come in una cronaca del XV secolo, in mezzo al mistero, con la complicazione di selvaggi espedienti, tutto ciò basato su una sola prova superficiale, questo elenco sciocco, che era soltanto una tresca volgare, che era anche più impudente delle frodi poiché i ”famosi segreti” consegnati erano tutti senza valore. Se insisto è perché il nodo è qui da dove usciva più tardi il vero crimine, il rifiuto spaventoso di giustizia di cui la Francia è malata. [...]
Ma questa lettera è lunga signor presidente, ed è tempo di concludere. Accuso il luogotenente colonnello de Paty di Clam di essere stato l'operaio diabolico dell'errore giudiziario, in incoscienza, io lo voglio credere, e di aver in seguito difeso la sua opera nociva, da tre anni, con le macchinazioni più irragionevoli e più colpevoli. Accuso il generale Mercier di essersi reso complice, almeno per debolezza di spirito, di una delle più grandi iniquità del secolo. Accuso il generale Billot di aver avuto tra le mani le prove certe dell'innocenza di Dreyfus e di averle soffocate, di essersi reso colpevole di questo crimine di lesa umanità e di lesa giustizia, per uno scopo politico e per salvare lo stato maggiore compromesso. Accuso il generale de Boisdeffre ed il generale Gonse di essersi resi complici dello stesso crimine, uno certamente per passione clericale, l'altro forse con questo spirito di corpo che fa degli uffici della guerra l'arcata santa, inattaccabile. Accuso il generale De Pellieux ed il comandante Ravary di avere fatto un'indagine scellerata, intendendo con ciò un'indagine della parzialità più enorme, di cui abbiamo nella relazione del secondo un imperituro monumento di ingenua audacia. Accuso i tre esperti in scrittura i signori Belhomme, Varinard e Couard, di avere presentato relazioni menzognere e fraudolente, a meno che un esame medico non li dichiari affetti da una malattia della vista e del giudizio. Accuso gli uffici della guerra di avere condotto nella stampa, particolarmente nell'Eclair e nell'Eco di Parigi, una campagna abominevole, per smarrire l'opinione pubblica e coprire il loro difetto. Accuso infine il primo consiglio di guerra di aver violato il diritto, condannando un accusato su una parte rimasta segreta, ed io accuso il secondo consiglio di guerra di aver coperto quest’illegalità per ordine, commettendo a sua volta il crimine giuridico di liberare consapevolmente un colpevole. Formulando queste accuse, non ignoro che mi metto sotto il tiro degli articoli 30 e 31 della legge sulla stampa del 29 luglio 1881, che punisce le offese di diffamazione. Ed è volontariamente che mi espongo. Quanto alla gente che accuso, non li conosco, non li ho mai visti, non ho contro di loro né rancore né odio. Sono per me solo entità, spiriti di malcostume sociale. E l'atto che io compio non è che un mezzo rivoluzionario per accelerare l'esplosione della verità e della giustizia. Ho soltanto una passione, quella della luce, in nome dell'umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto alla felicità. La mia protesta infiammata non è che il grido della mia anima. Che si osi dunque portarmi in assise e che l'indagine abbia luogo al più presto. Aspetto.
Vogliate gradire, signor presidente, l'assicurazione del mio profondo rispetto. »


Evariste Galois: il mito del genio ribelle 1811 Bourg-la-Reine - 1832 Parigi


http://simpatematica.altervista.org/galois.htm







Nacque a Bourg-la-Reine nel 1811 da Nicholas Gabriel e Adelaide Marie Demante, due genitori con buone conoscenze nel campo della filosofia, della letteratura classica e della religione. 
La madre sarà la prima persona a curarsi della formazione del piccolo Evariste, fino all'età di 12 anni quando si iscrive al liceo Louis-le-Grand.


 I primi anni della sua carriera scolastica registrano buoni risultati in tutte le materie. Nel febbraio del 1827 Galois entra a far parte della sua prima classe di matematica di M. Vernier. Questi però dirà di lui: 


"Penso che sarebbe meglio per lui se i suoi genitori lo obbligassero a studiare qualsiasi altra cosa, sta sprecando il suo tempo qui e non fa altro che tormentare i suoi insegnanti e ricoprirsi di punizioni."


Le note scolastiche descriveranno spesso Galois come un ragazzo singolare, bizzarro, originale e chiuso. 


Galois era un fervente repubblicano, ed è famoso un suo brindisi al Re con in mano un coltello. Questo brindisi lo portò in prigione e solo grazie a degli amici che testimoniarono a suo favore riuscì ad essere scarcerato.


Nel 1928 Galois sostiene l'esame d'ammisione per l'Ecole Polytechnique, così torna al Louis-le-Grand però questa volta nella classe di Louis Richard. 
Lavora molto sulle proprie ricerche personali e molto poco sui propri compiti scolastici, tanto che Richard dice di lui: 


"Questo studente lavora soltanto nei più alti regni della matematica".


L'Aprile del 1829 vede la prima pubblicazione di un articolo di Galois sulle frazioni continue sui prestigiosi Annales de mathématique. Seguiranno a questa altre pubblicazioni sulla risoluzione delle equazioni algebriche.


Ma continueranno ancora le difficoltà con le istituzioni scolastiche, infatti fallirà anche il suo secondo tentativo di entrare all'Ecole Politechnique e dovrà 'rassegnarsi' ad entrare all'Ecole Normale di Parigi. Per entravi sostiene un esame al termine del quale il suo esaminatore di matematica riporterà la seguente nota:
"Questo ragazzo è talvolta oscuro nell'esprimere le sue idee, ma è intelligente e mostra un notevole spirito di ricerca"
Mentre il suo esaminatore di letteratura dirà:
"Questo è l'unico studente che mi ha risposto scarsamente, non conosce assolutamente nulla. Ho sentito dire che questo studente ha straordinarie capacità per la matematica. Ciò mi stupisce enormemente, poiché, dopo il suo esame, ritengo che possegga una scarsa intelligenza"
Galois spedisce a Cauchy i suoi lavori sulla teoria delle equazioni, ma viene a sapere di un articolo postumo di Abel che ricalca alcuni suoi risultati, così ritira i suoi lavori. 


Nel febbraio del 1930 invia a Cauchy un altro articolo Sulle condizioni per cui un'equazione è risolvibile per radicali. 


Il suo lavoro viene girato a Fourier per considerarlo in vista del Gran Premio della Matematica, ma Fourier muore pochi mesi dopo e i lavori di Galois vanno misteriosamente perduti. 


Ma le disavventure di Galois non finiscono qua. Il giovane matematico verrà prima espulso dall'Ecole Normale e poi due volte arrestato per le sua focosa e attivissima militanza politica repubblicana.


Galois si scontrò a duello con Perscheux d'Herbinville il 30 maggio 1832, le ragioni del duello non sono chiare, ma sembrano collegate in qualche modo ad una donna, Stephanie-Felice du Motel, di cui Galois si era invaghito qualche mese prima. 
Vi sono altre versioni che accusano la polizia segreta del Re della responsabilità del duello affermando che la motivazione dell'onore fu solo una copertura per nascondere un omicidio politico.



È certo che Évariste fosse sicuro di morire durante quel duello, al punto che passò tutta la notte precedente a cercare di sistemare i suoi lavori matematici e in questi vi sono delle annotazioni in cui afferma che gli manca il tempo per un'esposizione più completa e chiara.

Le sue ultime parole, dette a suo fratello Alfred furono: «Non piangere! Ho bisogno di tutto il mio coraggio per morire a vent'anni». Galois venne sepolto in una fossa comune e si ignora tuttora dove riposino i suoi resti.



Il 30 maggio 1832 di prima mattina veniva colpito da un proiettile all'addome e il giorno seguente moriva  all'ospedale di Cochin.
Gravemente ferito fu lasciato sulla strada da d'Herbinville e dal suo secondo. 


Morì in ospedale il giorno dopo, il 31 maggio 1832 quando non aveva ancora compiuto i 21 anni.


Il materiale di Galois fu ricopiato e spedito dal fratello e da un amico a Gauss, Jacobi e altri. I matematici del tempo si accorgeranno del patrimonio rappresentato da quegli appunti solo una decina di anni dopo. 


Il contenuto di quei fogli passa oggi sotto il nome di

Teoria di Galois



http://it.wikipedia.org/wiki/%C3%89variste_Galois



Ragazzo prodigio, poco più che adolescente riuscì a determinare un metodo generale per scoprire se un'equazione è risolvibile o meno con operazioni quali somma, sottrazione, moltiplicazione, divisione, elevazione di potenza ed estrazione di radice, risolvendo così un problema della matematica vecchio di millenni.
Il suo lavoro ha posto le basi per la teoria che porta il suo nome, la Teoria di Galois appunto, un'importante branca dell'algebra astratta. È stato anche il primo ad utilizzare il termine gruppo in matematica per definire un insieme di possibili permutazioni di elementi, ed ha definito i gruppi che portano il suo nome: i gruppi di Galois.

I contributi matematici di Galois furono alla fine pubblicati nel 1843da Joseph Liouville che, ricevuto il manoscritto, lo lesse attentamente e lo sistemò per rendere l'esposizione più semplice. 
 Il manoscritto fu pubblicato nel numero di ottobre-dicembre sul  Giornale di Matematica pura e applicata.

In meno di 21 anni di vita Evariste Galois portò alla luce concetti ancora oggi fondamentali per l'algebra moderna.



VEDI ANCHE: 
Il rivoluzionario Evariste Galois


 di Giuseppe Musardo SISSA Trieste


Matematico e repubblicano, morì in duello 
e pose le basi della teoria dei gruppi








martedì 20 settembre 2011

Verso un'alternativa vegetale ai derivati petrolchimici



La prospettiva è aperta dalla scoperta dei dettagli del meccanismo di desaturazione degli acidi grassi vegetali
Ricercatori del Brookhaven National Laboratory e del Karolinska Institutet svedese hanno scoperto come gli enzimi che provvedono a desaturare gli acidi grassi vegetali determinano il sito in cui inserire un doppio legame. La comprensione di questo meccanismo - che si basa su un singolo amminoacido lontano dal sito attivo dell'enzima - risolve un mistero durato quasi mezzo secolo sul modo in cui questi enzimi riescono a compiere il loro lavoro: parlando di questo problema, Konrad Bloch - premio Nobel 1964 per i suoi studi sui meccanismi di regolazione del colesterolo e degli acidi grassi - aveva osservato più di 40 anni fa, che l'identificazione di tale sito specifico per la rimozione dell'idrogeno "sembrerebbe avvicinarsi ai limiti del potere di discriminazione degli enzimi".

La scoperta, che è pubblicata sui Proceedings of the National Academy of Sciences(PNAS), potrebbe permettere la progettazione di nuove piante per la produzione di oli vegetali che sostituiscano i derivati del petrolio.

"Gli acidi grassi vegetali muovono ogni anno un mercato da circa 150 miliardi di dollari", ha ricordato John Shanklin, autore principale dell'articolo. "Le loro proprietà, e quindi la loro possibilità di utilizzo, sono determinate dalla posizione dei doppi legami nelle catene di idrocarburi che ne compongono la struttura portante. Così la capacità di controllare le posizioni dei doppi legami ci permetterebbe di progettare e produrre nuovi acidi grassi da usare come materie prime industriali."

Gli enzimi responsabili della disposizione dei doppi legami, chiamati desaturasi, rimuovono atomi di idrogeno e inseriscono doppi legami tra atomi di carbonio adiacenti in punti specifici delle catene di idrocarburi. Ma come faccia un certo enzima a "sapere" dove inserire il doppio legame, laddove un altro enzima strettamente correlato lo inserisce in un punto differente era fino a oggi un enigma.

"La maggior parte degli enzimi riconosce specifiche caratteristiche nelle molecole su cui agiscono che sono molto vicine al punto in cui l'enzima esercita la sua azione. Ma in questo caso, tutti i gruppi carbonio-idrogeno che formano l'ossatura degli acidi grassi sono estremamente simili, e sono privi di caratteristiche distintive: è come un corda ingrassata priva di qualsiasi appiglio", ha detto Shanklin. (gg)


(20 settembre 2011)



http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/articolo/1349470
 

domenica 18 settembre 2011

PULIAMO IL MONDO 2011 Dal 16 al 24 settembre 2011

puliamo il mondo

  La più grande iniziativa mondiale di volontariato per la difesa dell'ambiente, che ogni anno vede milioni di persone impegnate a ripulire strade, parchi, giardini pubblici, aree degradate.

Nell’anno europeo del volontariato migliaia di cittadini in azione in tutto il Paese contro il degrado ambientale:

 dalle grotte di Polignano a Mare (Ba) al quartiere di Scampia a Napoli, dal Canal Grande a Venezia fino a Riace (RC) migliaia di cittadini s'impegneranno per un mondo più bello e vivibile.


Due week end dedicati al volontariato ambientale per ripulire e recuperare aree degradate e rendere più belle e vivibili le nostre città: torna Puliamo il mondo, la versione italiana dell’internazionale Clean-up the world, realizzata in Italia da Legambiente in collaborazione con la Rai.

“L’appuntamento di Puliamo il Mondo ogni anno ci ricorda come il problema dei rifiuti rimane una delle grandi sfide ambientali ancora aperte ed inoltre che la raccolta differenziata è la via maestra non solo per superare il problema, ma anche per ridurre considerevolmente i consumi energetici del nostro paese. 
Anche dal riciclo dei rifiuti può arrivare, in un momento di crisi come quello che stiamo attraversando, un aiuto per ridurre le bollette delle famiglie”.


Il riutilizzo dei materiali, consente risparmi energetici enormi, basti pensare che con il riciclo dei soli vetro e alluminio si ottiene, già oggi, un risparmio energetico paragonabile alla produzione di circa tre centrali nucleari da 1.000 Megawatt. 
Riducendo le quantità di rifiuti destinate alle discariche e agli inceneritori si abbattono le emissioni di sostanze responsabili dei cambiamenti climatici di una quantità che per Legambiente è stimabile tra i 51 e i 72 milioni di tonnellate di CO2.
Per questo Puliamo il Mondo quest’anno sarà orientata anche a promuovere in modo particolare l’uso consapevole della risorsa acqua.
 Il nostro Paese, infatti, detiene il record mondiale di consumo pro capite di acque minerali con il conseguente utilizzo di milioni di bottiglie di plastica da smaltire e l’emissione di tonnellate di CO2 per il trasporto.
 


Un business che non tiene in nessun conto i concetti di risparmio e sostenibilità, 
“Basti pensare che solo un terzo delle bottiglie di plastica utilizzate per l’acqua minerale viene raccolto in modo differenziato e destinato poi al riciclaggio, mentre i restanti due terzi finiscono in discarica o in un inceneritore”. 
Il consumo annuo di 12 miliardi di litri di acqua imbottigliata comporta, per la sola produzione delle bottiglie, “l’utilizzo di 350mila tonnellate di polietilene tereftalato (PET), con un consumo di 665 mila tonnellate di petrolio e l’emissione di gas serra pari a circa 910 mila tonnellate di CO2”.





Puliamo il Mondo 2011 a sostegno dei piccoli comuni

L'edizione 2011 di Puliamo il Mondo sarà dedicata ai piccoli comuni
 “Difendiamo un pezzo d’Italia che garantisce innovazione, qualità ambientale e coesione sociale” 

“L’esigenza di eliminare sprechi e risanare l’economia del Paese rivedendo anche l’organizzazione degli Enti locali non può che trovarci d’accordo ma questo non giustifica i tagli indiscriminati che questa manovra sta imponendo, soprattutto su realtà come i piccoli comuni che sempre più spesso dimostrano di essere, non solo custodi delle tradizioni, ma anche laboratori ideali d’innovazioni ed eccellenze. Sopprimerli con questo criterio significa sgretolare una parte sana dell’Italia, con un’operazione dove i costi supereranno di gran lunga i benefici”. 





Così Vittorio Cogliati Dezza annuncia l’adesione di Legambiente alla mobilitazione indetta dall’Anci a Milano per lunedì 29 agosto contro l’ipotesi paventata dalla manovra bis di sopprimere tutti i comuni sotto i mille abitanti. 

Legambiente ricorda che ben il 94% dei comuni italiani con meno di 5mila abitanti ha almeno un impianto da fonti rinnovabili sul proprio territorio e che circa il 68% degli oltre 2000 comuni presenti all’interno delle aree protette è un piccolo comune.

 “I piccoli municipi sono veri modelli d’avanguardia che da diverso tempo dimostrano di poter riattivare economie sane e sostenibili investendo sulle fonti rinnovabili, praticando il risparmio energetico e la raccolta differenziata, applicando sistemi di qualità in agricoltura e nelle produzioni manifatturiere.

 Sono insomma il futuro desiderabile dell’Italia  e per questo li difenderemo anche manifestando il nostro dissenso insieme a Anci e agli  amministratori dei piccoli centri lunedì prossimo a Milano ”.