domenica 4 marzo 2012

MICHELA MARZANO - VOLEVO ESSERE UNA FARFALLA


Se non avessi attraversato le tenebre, forse non sarei diventata la persona che sono oggi. Forse non avrei capito che la filosofia è soprattutto un modo per raccontare la finitezza e la gioia


Michela Marzano

Volevo essere una farfalla

Mondadori 2011


Volevo essere una farfalla

Così ho combattuto con la mia anoressia
di Michela Marzano – da La Repubblica del 26 agosto 2011 – pagina 1 -47
PENSAVO che non ne avrei mai parlato. Che sarebbe rimasto per sempre il mio segreto. Che non avrei permesso a nessuno di sfiorare le mie fratture e le mie debolezze. Poi, pian piano, raccontare la mia storia è diventata una necessità. Perché l’ anoressia non è una cosa di cui ci si deve vergognare. L’ anoressia non è né una scelta, né un’ infamia. L’ anoressia è un sintomo. Che porta allo scoperto quello che fa veramente male dentro. La paura, il vuoto, l’ abbandono, la violenza, la collera. È un modo per proteggersi da tutto ciò che sfugge al controllo. Anche se a forza di proteggersi si rischia di morire. E per imparare a vivere si deve avere il coraggio di dare un senso a tutta questa sofferenza. Certo, per uscirne non esistono formule magiche. Come pretendono alcuni. Come forse sarebbe bello che fosse. Ma esiste qualcosa che è più forte delle semplici formule: la forza delle parole. Quelle che permettono di ripercorrere millee mille volte sempre le stesse cose. Gli stessi attimi. Le stesse incertezze. Gli stessi rimpianti. E poi, come per magia, il pensiero riappare. E ci aiuta a ritrovare il bandolo della matassa. Quell’ istante preciso in cui qualcosa si è interrotto. E che prima ci si illudeva di poter dimenticare per fare “come se” nulla fosse mai accaduto. Barricandosi dietro ad un pensiero razionale capace, certo, di spiegare tutto, ma in realtà incapace di aprire la porta ai perché della vita. E allora ho capito come mai avessi deciso di diventare una filosofa. Perché se c’ è una disciplina che fa dei “perché” il punto di partenza e di arrivo è proprio la filosofia. Non quella astratta né quella perentoria. Ma quella incarnata che si costruisce intorno all’ evento, come direbbe Hannah Arendt. Quell’ evento che appare nel mondo e lo trasforma. E che obbliga, nonostante tutto, a trovare alcune risposte. Io queste risposte le ho trovate. Ed è anche attraverso la mia anoressia che ho imparato a vivere. Senza quella sofferenza, forse, non sarei diventata la persona che sono. Probabilmente non avrei capito che la filosofia è un modo per raccontare la finitezza e la gioia. Gli ossimori e le contraddizioni. Il coraggio immenso che ci vuole per smetterla di soffrire e la fragilità dell’ amore che dà senso alla vita. È questo che ho voluto raccontare nel mio libro. Per condividerlo con gli altri. Per mostrare che c’ è un modo per uscirne. Una filosofia della resistenza e della speranza.

qui un video di michela :   http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=vOCqJiih4tI



 Il 30 agosto 2011 è stato pubblicato l’ultimo libro della Marzano, affermata filosofa italiana che vive in Francia ormai da anni, edito dalla casa editrice Mondadori:Volevo essere una farfalla”.
Volevo essere una farfalla” non è un libro sull’anoressia com’è stato da taluni definito forse troppo frettolosamente, ma piuttosto un racconto sul come l’anoressia l’abbia accompagnata per anni, costringendola quasi a sopravvivere più che a vivere, a rimettersi quotidianamente in gioco e in questione a prezzo di dure lotte con se stessa, a voler infine riprendere a vivere a tutti i costi.
L’autrice ci fa dono di un libro autobiografico il cui tema centrale verte sul modo in cui l’anoressia le abbia insegnato a vivere, ad accettare i difetti, l’imperfezione, il non poter tenere tutto sotto controllo. L’ordine, la ragione, la perfezione, il controllo del cibo: undiktat della mente sul proprio corpo che per anno l’ha ossessionata e quasi annientata.
Quello che emerge dalla lettura del libro è un grido di sofferenza, pagina dopo pagina, rigo dopo rigo, l’urlo di un corpo spezzato [brisé] e lacerato che vorrebbe tornare ad essere leggero, leggero come una farfalla come recita il titolo, libero dal peso, dalle oppressioni, dalle incombenze e dalla gravità del vivere quotidiano. Chi tenta il suicidio è di norma una persona che desidera la vita con tutte le proprie forze, proprio come la Marzano che, con il cibo, instaura un rapporto ambivalente e patologico fin da adolescente e che la porterà al confine tra la vita e la morte, relegandola a vivere in bilico sul filo sottile che le separa. Ma Michela non vuole rifiutare la vita, non disdegna il cibo: lei ha fame, fame insaziabile di vita, di affetto, di cibo, di conoscenza, di tutto: per la prima volta racconta di essere sempre stata eccessiva, di innamorarsi troppo, di pretendere troppo da se stessa e dagli altri, di impegnarsi troppo.
 Quali sono i meccanismi che si insinuano poi in una bambina ancora piccola, che si sente abbandonata dalla madre ricoverata in ospedale per due settimane, e che esperisce giorno dopo giorno un complesso rapporto con un padre autoritario il quale esige da lei sempre e soltanto la perfezione assoluta? Ecco insinuarsi la dicotomia tra l’essere e il dover-essere, tra ciò che si è veramente, che si desidera –  un’adolescente con tutti i sogni, desideri e aspirazioni – e il tu devi kantiano, la necessità di dover essere sempre la più brava della classe, la più preparata (lei stessa lo ammetterà: “Non è da tutti vincere il dottorato alla Normale”), anche se poi si laurea con i suoi 35 chili e i capelli che le cadono perché doveva essere la migliore, a dimostrazione del fatto che lei è speciale, che ce la può fare, nell’erronea convinzione che suo padre non la amerebbe se non fosse così. Emergono così paure, violenze, ricordi del passato, che è sempre lì, dietro la porta, pronto ad assalirci se i nostri meccanismi di difesa non vigilassero costantemente.  Quanta difficoltà e fatica nel liberarsi da quei retaggi ancestrali e dalle norme che ci vengono inculcate sin da bambini, e che ci portiamo dietro, dovunque andiamo. Non basta allora scappare, non è sufficiente dimenticare, è necessario soffermarsi attraverso un incessante esame di se stessi, parlare e affrontare definitivamente tutte le paure.




È sempre una questione di amore. L’amore della vita. L’amore per se stessi. L’amore per gli altri. Anche se per amare bisognerebbe potersi abbandonare. Talvolta anche a chi, forse, quest’abbandono non lo vuole. Perché ha paura. Perché a sua volta cerca di proteggersi… Ma almeno ci si muove. E non si resta bloccati lì, sempre in quello stesso angolo buio…
È sempre una questione di amore. Anche se tante persone non lo sanno, o fanno finta di nulla, o se lo sono dimenticato. E allora smettono di sognare e si spengono. Morti viventi di una vita che non gli appartiene più…
È sempre una questione di amore. Anche quando per “colpa” o per “destino” lui se va via. E ci si chiude in casa e si scrive. E scrivendo, come canta Guccini, ci si consola…
          http://marzanomichela.wordpress.com/2012/02/05/e-sempre-lamore/


Non mi piacciono gli eccessi. Anche se nella mia vita sono stata spesso eccessiva. E ancora oggi, “troppo spesso”, è il “troppo” che trionfa. Chi mi conosce lo sa. Questa tendenza a prendere “tutto” troppo sul serio… che poi è un modo di esagerare… e quando si esagera non si è più capaci di cogliere le sfumature dell’esistenza…  Certo, che senso avrebbe vivere se non ci si appassionasse “troppo” in alcuni momenti, se non si decidesse di battersi per quello in cui si crede, anche a costo della propria vita? Forse di senso ce ne sarebbe poco… Ma se c’è una cosa che ho imparato a mie spese, è che,  al di là degli ideali, anche la vita conta. Anche perché talvolta è proprio quando si “lascia perdere”, che le cose accadono… Fermarsi un attimo per aspettare che qualcosa arrivi, senza averlo “strappato”…
Tutti noi siamo impastati di affetto e di emozione. Quando li si soffocano, prima o poi prendono il sopravvento. Oppure scompaiono… è allora è la fine… morti viventi di una vita che non ci appartiene più… Allora perché criticare gli eccessi? Forse perché anche nell’eccesso scompare qualcosa di noi: ci attacchiamo disperatamente a qualcosa, lottiamo contro tutto e contro tutti, e dopo un po’ siamo incapaci di rimetterci in discussione, convinti che siamo noi ad avere ragione e che sono gli altri che si sbagliano…
Tutti sbagliamo. Non sono sempre e solo gli altri ad aver torto. E poi quando si impara ad ascoltare e a cambiare idea, ci si rende conto che la vita non è sempre e solo una battaglia quotidiana. Talvolta è anche complicità. Talvolta è anche colorata… come le ali di una farfalla…



In fondo, si vive sempre e solo quello che si vuole vivere. È da qui che si deve ripartire ogni giorno. Per desiderare quello che si ha già. Senza perdere tempo. Senza sprecarlo a sperare che un giorno, forse, tutto sarà diverso. Perché tutto è già diverso a partire dal momento in cui si fa la pace con i propri ricordi. Quelli che smetteranno di perseguitarci solo quando ritroveremo quei profumi e quei rumori. La fine della fatica. L’inizio della gioia. Solo allora saremo capaci di tradire quello che non ci è stato trasmesso con amore, ma ordinato. Con la minaccia implicita di essere un giorno diseredati…
        http://marzanomichela.wordpress.com/2012/01/20/linizio-della-gioia/