giovedì 25 settembre 2014

SETTEMBRE - PULIAMO IL MONDO












Clean Up the World è un'iniziativa ambientale in cui i volontari di tutto il mondo ripuliscono, valorizzano e conservano i propri territori.
L'evento principale della campagna si svolge a livello mondiale ogni terzo weekend di settembre, comunque gli organizzatori incoraggiano i cittadini a intraprendere iniziative durante tutto l'anno.
Clean Up the World è stata creata nel 1993 quando i fondatori di Clean Up Australia, Ian Kiernan and Kim McKay, proposero all'UNEP di trasformare Clean Up Australia in un'iniziativa di volontariato globale. La partnership così creata mobilita ogni anno circa 35 milioni di volontari in 120 paesi, rendendo Clean Up the World la più grande iniziativa ambientale organizzata da volontari.
L'Unep assiste Clean Up the World a promuovere la campagna e incoraggia la partecipazione attraverso il proprio network.
Nel 1998, Ian Kiernan è stato insignito dall'UNEP del premio ambientale Sasakawa per la sua visione e organizzazione di questa iniziativa mondiale di volontariato ambientale



lunedì 15 settembre 2014

INIZIA UN NUOVO ANNO SCOLASTICO 2011/2012


Regole del gioco

1.       In classe la cosa più importante è ASCOLTARE. Io ascolto ciascuno di voi, voi ascoltate i vostri compagni e ascoltate me. Questo è l’essenziale. Se non possiamo ascoltarci, tutto il nostro lavoro diventa inutile, anzi impossibile. Il silenzio (cioè, evitare chiacchiere e rumori inutili) è necessario, proprio perché altrimenti non ci si può ascoltare a vicenda.

2.       Il materiale necessario (DA AVERE SEMPRE) è il seguente:
a. i libri di testo;
b. un quaderno ad anelli, fogli a righe o quadretti, alcune buste di plastica per raccogliere fotocopie;
c. materiale per scrivere (penna, gomma, matita, qualche pennarello)

3.       TUTTO quello che spiego a lezione va SEMPRE studiato per la volta successiva, ANCHE SE NON LO DICO.

4.      Tutte le volte che non è chiaro qualcosa della mia spiegazione o sul testo, si  DEVE chiedere spiegazioni. Più in generale, mi potete porre qualsiasi problema, difficoltà, dubbio ecc. ecc., in qualsiasi momento, a meno che non sia un evidente pretesto per perdere tempo. Potete anche contattarmi via email.

5.      Faremo esercitazioni scritte per ogni argomento spiegato e discusso in classe. Saranno questionari, riassunti, commenti alla lettura di un documento, testi di varie tipologie, schede o schemi. Le esercitazioni verranno valutate con un voto o giudizio che terrà conto dell’impegno oltre che del risultato, perché il risultato positivo arriverà solo se si faranno con impegno molte esercitazioni. Se comunque il voto sarà insufficiente non significa che farà media per la valutazione complessiva: è normale sbagliare e fare errori all’inizio, quello che conta è come si è migliorati alla fine.

6.       Le interrogazioni potranno avvenire sempre , quindi bisogna essere SEMPRE PREPARATI. Ci si può anche fare interrogare volontariamente, in qualsiasi momento. Le interrogazioni saranno prevalentemente orali ma potranno anche essere sostituite da questionari scritti o test. Le verifiche una volta fissate non verranno spostate o annullate per l’assenza di parte della classe, ma gli assenti dovranno recuperare facendosi interrogare.

7.       Oltre alle esercitazioni ed alle interrogazioni vere e proprie, vi farò anche molte domande “sparse” . Chi risponde bene prende un “più”, che equivale circa ad un quarto di punto. Quindi ad ogni quattro “più” la vostra media sale di un punto. Chi non sa rispondere (o non porta il libro, non ha il quaderno in ordine, non fa un compito a casa, disturba il lavoro di classe ecc.) prende un “meno”, che ha lo stesso valore: ogni quattro “meno”, quindi, il voto di media scende di un punto.

8.       Quando si prende un’insufficienza su qualche argomento, è possibile rimediarla facendosi interrogare  sullo stesso argomento.

9.       Durante l’anno vi proporrò attività di approfondimento, individuali o di gruppo, su cui si lavorerà sia a casa che a scuola e che poi saranno presentate alla classe anche sotto forma di lezione e valutate come un’interrogazione. Conviene quindi farle bene, perché possono facilmente rialzare la media dei voti!

10.               Su tutte le altre questioni pratiche (orari, uscite dall’aula ecc.) farò rispettare quanto scritto sul regolamento della scuola.


                                                                                            la prof. di lettere

ripreso con qualche adattamento da  http://www.ilblogdellaprof.org/p/regole-del-gioco.html

lunedì 28 aprile 2014

L'OTTIMISMO DELLA VOLONTA' - GRAMSCI INSEGNA

per VITA E OPERE DI GRAMSCI CLICCA QUI:


Odio gli indifferenti. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare.

Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita.

Perciò odio gli indifferenti.


Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch'io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?

Il mio stato d'animo è tale che se anche fossi condannato a morte, continuerei a essere tranquillo e anche la sera prima dell'esecuzione magari studierei una lezione di lingua cinese per non cadere più in quegli stati d'animo volgari e banali che si chiamano pessimismo e ottimismo.


Il mio stato d'animo sintetizza questi due sentimenti e li supera:

sono pessimista con l'intelligenza, ma ottimista con la volontà.

L'indifferenza è il peso morto della storia.


È la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica

mercoledì 19 marzo 2014

21 marzo

COS'È IL 21 MARZO

Dal 1996 ogni 21 marzo si celebra la Giornata della Memoria e dell'Impegno per ricordare le vittime innocenti di tutte le mafie. Il 21 marzo, primo giorno di primavera, è il simbolo della speranza che si rinnova ed è anche occasione di incontro con i familiari delle vittime che in Libera hanno trovato la forza di risorgere dal loro dramma, elaborando il lutto per una ricerca di giustizia vera e profonda, trasformando il dolore in uno strumento concreto, non violento, di impegno e di azione di pace.

lunedì 17 marzo 2014

Amnesty e la Siria

Da tre anni una gravissima crisi dei diritti umani devasta la Siria: 2.500.000 rifugiati, 9.300.000 persone che hanno bisogno di assistenza, più di 6.500.000 profughi interni e oltre 100.000 persone uccise. 

Circa 250.000 persone vivono sotto assedio: la maggior parte è confinata in aree sotto controllo delle forze governative siriane che, regolarmente, le bombardano. In altre zone, l'opposizione armata assedia i civili e blocca la consegna delle forniture dei beni di prima necessità. 

Con la risoluzione 2139, adottata il 22 febbraio 2014, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha chiesto la fine degli "assedi dei centri abitati" e delle violazioni dei diritti umani. Ma, finora,le parti in conflitto non hanno fatto abbastanza per porre fine alle sofferenze dei civili

Chiedi agli stati del Consiglio di Sicurezza dell'Onu di far rispettare la risoluzione!

http://news.amnesty.it/f/rnl.aspx/?lli=qzytsv4c0jm=tydl-=o_vvy&f70c=9ql&g71-ble&ig0e9&x=pp&wxkbj47e.1.mNCLM

sabato 15 marzo 2014

TRE ANNI DI GUERRA IN SIRIA



II terzo anniversario del conflitto in Siria viene commemorato in tutto il mondo. 
In tre anni ci sono stati oltre 140.000 morti e circa nove milioni di persone costrette ad allontanarsi dalle proprie case – secondo cifre Onu – creando la peggiore crisi umanitaria dal genocidio in Ruanda del 1994.
Intanto, le due tornate di negoziati a Ginevra non hanno fermato il conflitto.


In Siria ci sono oltre 4,3 milioni di bambini sfollati, intrappolati nel conflitto, che subiscono tutti i giorni le gravi conseguenze di un sistema sanitario al collasso e hanno disperato bisogno di cibo, medicine, supporto psicologico e un riparo sicuro. Due ospedali su tre sono distrutti o inservibili, come il 38% delle strutture mediche di base, e quasi tutte le ambulanze. La metà dei medici ha abbandonato il paese, altri sono stati uccisi o imprigionati, e tra il personale sanitario rimasto, in media, solo 1 su 300 è un medico in grado di affrontare le emergenze. 

Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/ffnbj

sabato 22 febbraio 2014

Cosa succede in UCRAINA?


 In fiamme piazza Maidan

Si è riaccesa la protesta in Ucraina e le strade del centro di Kiev si sono ancora macchiate di sangue. Almeno 15 persone sono rimaste uccise nella battaglia tra polizia e manifestanti svoltasi il 18 febbraio nel cuore della capitale

Le violenze sono scoppiate la mattina, quando un cordone di agenti ha impedito a un corteo di migliaia di dimostranti di avvicinarsi al Parlamento, dove si sarebbe dovuta discutere una riforma costituzionale chiesta dall'opposizione per ridurre i poteri del presidente. Non è chiaro chi abbia iniziato gli scontri. Fatto sta che i combattimenti si sono presto propagati in altri punti del centro di Kiev.

http://www.repubblica.it/esteri/2014/02/18/news/ucraina_riforma_costituzionale_scontri_tra_polizia_e_manifestanti-78916090/



19 febbraio 2014
Continuano le proteste dopo il fallimento dei negoziati tra il Presidente e l'opposizione. È salito a 26 il numero dei morti.
La giornata di Kiev è iniziata all'alba con un susseguirsi ininterrotto di esplosioni e lacrimogeni, quando le truppe antisommossa sono entrate a Piazza Maidan lanciando granate e smantellando le barricate dei manifestanti. 

Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, si dice "scioccato" per l'escalation di violenza a Kiev, in Ucraina. In una nota, definisce l'uso della violenza da entrambe le parti "inaccettabile". "Prevenire ulteriori spargimenti di sangue è una priorità fondamentale - aggiunge - e tutte le parti devono impegnarsi affinché venga ristabilita la democrazia il più rapidamente possibile". Mentre l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani chiede un'indagine urgente e indipendente. Prende posizione anche la Casa Bianca che definisce le violenze "totalmente scandalose". 


Sono tre mesi che l'Ucraina vede infiammare nelle piazze una battaglia tutta geopolitica tra la Russia e l'Occidente, dopo il mancato accordo con l'Unione Europea .

qui i motivi della rivolta:
http://video.repubblica.it/dossier/rivolta-ucraina-2013/ucraina-i-motivi-della-protesta-contro-putin-e-yanukovich/147830/146345


qui la storia dell'Ucraina:
http://it.wikipedia.org/wiki/Ucraina

la cattedrale di Santa Sofia




Kiev. Piazza Maidan



http://notizie.tiscali.it/feeds/14/02/19/t_42_20140219_EST_LG01_0100.html?ultimora


Ucraina, 3 mesi di proteste: dal no all'accordo Ue ai 25 morti di ieri

Kiev (Ucraina), 19 feb. (LaPresse/AP) - Pesante bilancio di vittime negli scontri a Kiev, in Ucraina, dove tre mesi fa sono iniziate proteste contro il presidente Viktor Yanukovych. Iniziate pacificamente, le manifestazioni sono scaturite in gravi violenze e nella sola giornata di ieri sono stati contati 25 morti e centinaia di feriti. Segue una cronologia dei fatti principali.
21 novembre 2013: il governo del presidente Yanukovych annuncia che rinuncia a un accordo per rafforzare i legami con l'Unione europea, a favore di uno con la Russia. I dimostranti scendono in strada.
30 novembre: la polizia attacca brutalmente un gruppo di manifestanti, arrestandone 35. Le immagini delle persone coperte di sangue dopo i colpi dei manganelli si diffondono e galvanizzano il sostegno pubblico ai dimostranti.
1 dicembre: una manifestazione richiama 300mila persone a Kiev, la più grande nel Paese dalla Rivoluzione arancione del 2004. Gli attivisti prendono il controllo del municipio.
17 dicembre: il presidente russo Vladimir Putin annuncia che Mosca comprerà bond del governo ucraino per un valore di 15 miliardi di dollari e taglierà il costo del gas naturale comprato da Kiev. Putin e Yanukovych affermano che non ci siano condizioni correlate.
22 gennaio 2014: due dimostranti muoiono sotto i colpi di munizioni vere, un terzo perde la vita cadendo dall'alto durante un confronto tra dimostranti e polizia. Sono le prime vittime delle proteste.
28 gennaio: Il premier Mykola Azarov si dimette e il Parlamento respinge le leggi anti-proteste che una settimana prima hanno scatenato violenze. Entrambe sono concessioni all'opposizione, destinate a disinnescare la tensione.
31 gennaio: l'attivista di opposizione Dmytro Bulatov, scomparso il 22 gennaio, viene ritrovato ferito e con parte di un orecchio asportata. Accusa un gruppo filo-russo di essere responsabile di rapimento e tortura, facendo crescere il timore nell'opposizione che unità non ufficiali siano state incaricate di intimidire i manifestanti.
16 febbraio: gli attivisti mettono fine all'occupazione del municipio, in cambio del rilascio di tutti i 234 dimostranti detenuti. Lo scambio è visto come un segno di progresso verso una soluzione pacifica della crisi.
18 febbraio: nuovi violenti scontri nelle strade di Kiev portano alla morte di 25 persone e al ferimento di centinaia ai altre. La violenza inizia quando i manifestanti attaccano la polizia e appiccano incendi fuori dal Parlamento, mentre questo è in stallo sulla riforma costituzionale per limitare i poteri del presidente. Il giorno prima la Russia aveva offerto di riprendere i pagamenti secondo l'accordo di prestiti, quindi l'opposizione sospetta che Yanukovych si sia accordato con Mosca sul mantenere il pugno duro nei confronti delle proteste. La polizia antisommossa reagisce alle violenze tentando di spingere i dimostranti fuori da piazza Indipendenza.
19 febbraio 2014



http://notizie.tiscali.it/feeds/14/02/19/t_42_20140219_EST_LG01_0100.html?ultimora


22 febbraio

Ucraina, il parlamento rimuove Yanukovich. Il presidente: "E' un colpo di Stato". Timoshenko: "Dittatura è caduta"


http://notizie.tiscali.it/articoli/esteri/14/02/22/parlamento-ucraina-indice-elezioni.html

21 febbraio, GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA LINGUA MADRE



Parlare a qualcuno in una lingua che comprende consente di raggiungere il suo cervello. Parlargli nella sua lingua madre significa raggiungere il suo cuore” 
Nelson Mandela





Quasi la metà delle oltre 6.000 lingue parlate nel mondo, potrebbe morire entro la fine del secolo”. Nel dettaglio: più del 50% delle 6.000 lingue mondiali è in pericolo; il 96% delle 6.000 lingue mondiali è parlato solo dal 4% della popolazione mondiale; il 90% delle lingue mondiali non è rappresentato su Internet; i contenuti presenti sulla rete Internet sono per il 68 % in inglese, seguito dal giapponese (6 %), dal tedesco (6%) e dal cinese (4%); una lingua scompare mediamente ogni 2 settimane; l’80% delle lingue africane non ha l’ortografia.
Ecco perché è auspicabile la costruzione di una politica linguistica mondiale basata sul multilinguismo per tutti e l’Unesco propone di celebrare ogni anno la lingua come strumento di conservazione del patrimonio culturale di ogni popolo.
La diversità linguistica è il nostro patrimonio comune, la scomparsa di una lingua  costituisce un impoverimento per l’intera umanità, un passo indietro nella difesa del diritto di ciascuno ad essere ascoltato, ad apprendere e a comunicare


lunedì 27 gennaio 2014

giorno della memoria





C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
“Schulze Monaco”
c’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buchenwald
più in là c’è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald

servivano a far coperte per soldati
non si sprecava nulla
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas
c’è un paio di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald

erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini
li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’eternità
perchè i piedini dei bambini morti non crescono

c’è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald
quasi nuove
perchè i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.

(Joyce Lussu)




sabato 25 gennaio 2014

27 gennaio GIORNO DELLA MEMORIA - LEVI : I SOMMERSI E I SALVATI


SINTESI DELL’OPERA

PREFAZIONE
Sia le vittime che gli oppressori  avevano viva la consapevolezza dell'enormità, e quindi della non credibilità, di quanto avveniva nei Lager . “ i militi delle S.S. si divertivano ad ammonire cinicamente i prigionieri: «In qualunque modo questa guerra finisca, la guerra contro di voi l'abbiamo vinta noi; nessuno di voi rimarrà per portare testimonianza, ma se anche qualcuno scampasse, il mondo non gli crederà. Noi distruggeremo le prove insieme con voi. E quando anche qualche prova dovesse rimanere, e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dirà che i fatti che voi raccontate sono troppo mostruosi per essere creduti: dirà che sono esagerazioni della propaganda alleata, e crederà a noi, che negheremo tutto, e non a voi.»”  Molte delle prove materiali degli stermini di massa furono soppresse, o si cercò di sopprimerle: nell'autunno del 1944 i nazisti fecero saltare le camere a gas e i crematori di Auschwitz,  Il ghetto di Varsavia, fu raso al suolo, tutti gli archivi dei Lager sono stati bruciati negli ultimi giorni di guerra tanto che ancora oggi non si ha la conferma del numero esatto delle vittime (quattro o sei od otto milioni); dopo la svolta di Stalingrado  si decise di eliminare i cadaveri che erano stati accatastati nelle fosse comuni: gli stessi prigionieri furono costretti a disseppellire quei resti ed a bruciarli su roghi all'aperto. I comandi S.S. ed i servizi di sicurezza fecero in modo che nessun testimone sopravvivesse. Ma qualcuno ha pure avuto la fortuna e la forza di sopravvivere, ed è rimasto per testimoniare, così come sono rimaste le rovine dei campi.
I principali  testimoni sono gli stessi nazisti, molti dei quali hanno negato di sapere. Non si saprà mai quanti, nell'apparato nazista, non sapessero nulla o sapessero qualcosa, ma fingessero d'ignorare. Comunque sia è certo che la mancata diffusione della verità sui Lager costituisce una delle maggiori colpe collettive del popolo tedesco, e la più aperta dimostrazione della viltà a cui il terrore hitleriano lo aveva ridotto.  Molti sono i potenziali testimoni «civili» : società industriali, aziende agricole, fabbriche di armamenti, che  traevano profitto dalla mano d'opera pressoché gratuita fornita dai campi, o che rifornivano i Lager  di legname, materiali per costruzione, il tessuto per l'uniforme a righe dei prigionieri, i vegetali essiccati per la zuppa, eccetera. Gli stessi forni crematori , l’acido cianidrico che fu impiegato nelle camere a gas di Auschwitz: erano forniti da ditte che dovevano sapere, o almeno avere forti sospetti, ma essi furono soffocati dalla paura, dal desiderio di guadagno,  in alcuni casi dalla fanatica obbedienza nazista.
Il materiale più consistente per la ricostruzione della verità sui campi è costituito dalle memorie dei superstiti, ma esse vanno lette con occhio critico: nelle loro condizioni disumane , era raro che i prigionieri potessero acquisire una visione d'insieme del loro universo, spaesati ed ignari di tutto ciò che li circondava. Così erano la maggioranza dei prigionieri «normali», dei non privilegiati, e, di questi, pochissimi sono scampati alla morte. Solo chi otteneva qualche privilegio riusciva a sopravvivere: “la storia dei Lager è stata scritta quasi esclusivamente da chi non ne ha scandagliato il fondo”. Chi lo ha fatto non è tornato, o la sofferenza ha paralizzato la sua capacità di osservazione. I migliori storici dei Lager sono dunque emersi fra i pochissimi che hanno avuto l'abilità e la fortuna di raggiungere un osservatorio privilegiato, e tra questi in particolare i prigionieri politici, i più adatti e capaci di valutare e di interpretare i fatti a cui assistevano.
La memoria degli eventi accaduti sta diventando una memoria “stilizzata”, cioè semplificata e rarefatta dal tempo trascorso. Ormai i testimoni diretti sono rimasti in pochi e gli stessi reduci tendono a ridurre tutto a cerimonie commemorative fatte di retorica e belle parole. Ma solo mantenendo viva la memoria si può evitare che quelle violenze ritornino.

CAP. I   La memoria dell'offesa 
"La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace". Con quest'affermazione l'autore apre la parte relativa alle responsabilità del terribile evento-Auschwitz. L'offesa subita da lui e da molte migliaia di uomini è insanabile, ma ciò non vuol dire che i responsabili comprendano la gravità delle loro azioni. Le "scuse" più frequenti, seppure espresse con formulazioni diverse, sono più o meno le stesse: l'ho fatto perché sono stato costretto o comandato, o per l'educazione impartitami, o per l'ambiente in cui sono cresciuto. Si tratta non solo di menzogne, ma di un autoinganno che consente al colpevole di lavarsi dei propri crimini. A favorire tale verità di comodo interviene poi anche il tempo, perché più si allontanano gli eventi, più risulta semplice negare il passato. La pressione che uno stato totalitario può esercitare sull'individuo è paurosa. Le sue armi sono sostanzialmente tre: "la propaganda, la censura opposta al pluralismo delle informazioni, il terrore". Tutto ciò non può comunque giustificare e ancor meno cancellare le colpe commesse: è infatti palese in chi si giustifica l’esagerazione e quindi la manipolazione (volontaria o inconscia) del ricordo.
 Levi cita le dichiarazioni di  Eichmann al processo di Gerusalemme, e l’autobiografia di Rudolf Höss (il penultimo comandante di Auschwitz, l'inventore delle camere ad acido cianidrico). Nelle affermazioni di questi uomini dalle gravissime responsabilità, è palese l'esagerazione, ed ancor più la manomissione del ricordo. Entrambi erano nati ed erano stati educati molto prima che il Reich diventasse veramente «totalitario», e la loro adesione era stata una scelta, dettata più da opportunismo che da entusiasmo. La rielaborazione del loro passato è stata opera posteriore: così forti di fronte al dolore altrui, quando il destino li ha messi davanti ai giudici, davanti alla morte che hanno meritato, si sono costruiti un passato di comodo ed hanno finito per credervi.
Allo stesso tempo l’autore riconosce anche in chi ha subito ingiustizie e offese la tendenza a sorvolare sugli episodi più dolorosi, puntando l’attenzione su tregue, intermezzi insoliti o momenti di respiro, certamente non col bisogno di discolparsi: a scopo di difesa, la realtà può essere distorta non solo col ricordo, ma nell’atto stesso in cui si verifica, rifiutando una verità insopportabile e costruendosene un’altra.


CAP II  La zona grigia 
Per comprendere  è spesso necessario semplificare. Oggi chi legge la storia dei Lager sente il bisogno di dividere nettamente il male dal bene: qui i giusti, là i reprobi. Ma quella realtà non è riducibile ai due blocchi delle vittime e dei persecutori.  "L’ingresso in lager era un urto per la sorpresa che portava con sé. Il mondo in cui ci si sentiva precipitati era sì terribile, ma anche indecifrabile: non era conforme ad alcun modello, il nemico era intorno ma anche dentro, il noi perdeva i suoi confini, i contendenti non erano due, non si distingueva una frontiera ma molte e confuse, forse innumerevoli, una fra ciascuno e ciascuno."  Il nuovo arrivato doveva essere demolito subito, affinché non diventasse un esempio. Su questo punto le S.S. basavano tutto il sinistro rituale, diverso da Lager a Lager, ma unico nella sostanza, che accompagnava l'ingresso; i calci e i pugni subito, spesso sul viso; l'orgia di ordini urlati con collera vera o simulata; la denudazione totale; la rasatura dei capelli; la vestizione con stracci.  Tuttavia, al rituale d'ingresso, ed al crollo morale che esso favoriva, contribuivano più o meno consapevolmente anche le altre componenti del mondo concentrazionario: i prigionieri semplici ed i privilegiati. C’erano gli “anziani” (bastava essere nel Lager due o tre mesi per essere anziano) : il «nuovo» ("Zugang") veniva assurdamente  invidiato , veniva deriso e sottoposto a scherzi crudeli. Ma c’era soprattutto il prigioniero-funzionario, quello che invece di prenderti per mano, tranquillizzarti, insegnarti la strada, ti si avventa addosso urlando, e ti percuote; ti vuole domare, vuole spegnere in te la dignità che lui ha perduta; ma se tenti una reazione, per una legge non scritta ma ferrea, il "zurückschlagen", il rispondere coi colpi ai colpi, è una trasgressione intollerabile: altri funzionari accorrono a difesa dell'ordine minacciato, e il “nuovo” colpevole viene percosso con rabbia e metodo finché è domato o morto. Il privilegio, per definizione, difende e protegge il privilegio. (“Un partigiano, scaraventato in un Lager di lavoro, era stato malmenato durante la distribuzione della zuppa, ed aveva osato dare uno spintone al funzionario-distributore: accorsero i colleghi di questo, e il reo venne affogato  immergendogli la testa nel mastello della zuppa stessa.”)
L'ascesa dei privilegiati, non solo in Lager ma in tutte le convivenze umane, è un fenomeno immancabile. Dove esiste un potere esercitato da pochi, o da uno solo, contro i molti, il privilegio nasce e prolifera. All’interno del lager i prigionieri, costretti in condizioni limite, inevitabilmente sono portati a sottostare alla logica del luogo in cui si trovano, dove per sopravvivere è necessario scendere a compromessi anche con la propria umanità: la "zona grigia" è la classe "ibrida" dei prigionieri-funzionari, un'area indefinibile, che insieme separa e congiunge i due campi dei padroni e dei servi. Tra questi erano i Kapò, coloro che occupavano posizioni di comando: i capi delle squadre di lavoro, i capibaracca, gli scritturali, i prigionieri che svolgevano attività presso gli uffici amministrativi del campo, la Sezione Politica, il Servizio del Lavoro, le celle di punizione. Alcuni fra questi hanno raccolto informazioni segrete e sono poi diventati gli storici dei rispettivi Lager; alcuni con astuzia e coraggio hanno potuto aiutare concretamente i loro compagni in molti modi. Erano però liberi di commettere sui loro sottoposti le peggiori atrocità, a titolo di punizione per qualsiasi loro trasgressione, o anche senza motivo alcuno.
Chi diventava Kapo? rei comuni tratti dalle carceri, prigionieri politici fiaccati da cinque o dieci anni di sofferenze; più tardi, anche ebrei, che speravano di sfuggire alla «soluzione finale». Ma molti, aspiravano al potere spontaneamente, come i sadici ; lo chiedevano i frustrati, ed anche questo è un aspetto che riproduce nel microcosmo del Lager il macrocosmo della società totalitaria: in entrambi, al di fuori della capacità e del merito, viene concesso generosamente il potere a chi sia disposto a tributare ossequio all'autorità gerarchica, conseguendo in questo modo una promozione sociale altrimenti irraggiungibile. Lo cercavano, infine, i molti fra gli oppressi che subivano il contagio degli oppressori e tendevano inconsciamente ad identificarsi con loro.
Un caso-limite di collaborazione è rappresentato dai Sonderkommandos di Auschwitz e degli altri Lager di sterminio. Qui si esita a parlare di privilegio: chi ne faceva parte era privilegiato solo in quanto (ma a quale costo!) per qualche mese mangiava a sufficienza, non certo perché potesse essere invidiato. Con questa denominazione , «Squadra Speciale», veniva indicato dalle S.S. il gruppo di prigionieri a cui era affidata la gestione dei crematori. Si doveva ancora una volta dimostrare che gli ebrei, "sotto-razza", si piegano ad ogni umiliazione, perfino a distruggere se stessi.

CAP. III  La vergogna 
"Noi sopravvissuti siamo una minoranza anomala oltre che esigua: siamo quelli che, per la loro prevaricazione o abilità o fortuna, non hanno toccato il fondo".  Il sentimento  della vergogna riguarda tutti coloro che non sono stati "sommersi", ma che una volta riconquistata la libertà, non hanno provato gioia ma angoscia e vergogna per essersi "salvati", fino al punto da essere spesso indotti al suicidio (come lo stesso Levi poco dopo la pubblicazione di questo saggio). Il pensiero del suicidio  non interveniva durante la prigionia per tre motivi: la condizione bestiale che non faceva ragionare, il continuo lavoro che non lasciava tempo e le sofferenze della reclusione viste già come una punizione sufficiente . Invece dopo la liberazione  riaffiorava la vergogna, l'inevitabile senso di colpa per non aver fatto nulla, o non abbastanza, contro il sistema del Lager, o per soccorrere i compagni più deboli, per essere stati egoisti, e solo grazie a questo essersi appunto salvati. I «salvati» del Lager non erano i migliori, i “Graziati”, i latori di un messaggio, ma esattamente il contrario: sopravvivevano di preferenza i peggiori, gli egoisti, i violenti, gli insensibili, i collaboratori della «zona grigia», le spie. Chi tra i salvati si sentiva innocente, era comunque intruppato fra i salvati, e perciò alla ricerca permanente di una giustificazione, davanti a se stesso e agli altri. “Sopravvivevano i peggiori, cioè i più adatti; i migliori sono morti tutti.” “E c'è un'altra vergogna più vasta, la vergogna del mondo. C'è chi davanti alla colpa altrui, o alla propria, volge le spalle, così da non vederla e non sentirsene toccato: così hanno fatto la maggior parte dei tedeschi nei dodici anni hitleriani. Ma chi è stato nei Lager non ha potuto non vedere; “i giusti fra loro hanno provato rimorso,vergogna, dolore, per la colpa che altri e non loro avevano commessa, ed in cui si sono sentiti coinvolti, perché sentivano che quanto era avvenuto intorno a loro, ed in loro presenza, e in loro, era irrevocabile. Non avrebbe potuto essere lavato mai più; avrebbe dimostrato che l'uomo, il genere umano, noi insomma, eravamo potenzialmente capaci di costruire una mole infinita di dolore; e che il dolore è la sola forza che si crei dal nulla, senza spesa e senza fatica. Basta non vedere, non ascoltare, non fare.”

CAP. IV   Comunicare 
Secondo una teoria, l'«incomunicabilità» sarebbe  un aspetto della condizione umana, in particolare nel modo di vivere della società industriale. Niente di più falso e pericoloso, secondo Levi: comunicare si può e si deve, è un modo utile e facile di contribuire alla pace altrui e propria. “Rifiutare di comunicare è una colpa; per la comunicazione, ed in specie per quella sua forma altamente evoluta e nobile che è il linguaggio, siamo biologicamente e socialmente predisposti”. Nel Lager anche sotto l'aspetto della comunicazione,  l'esperienza dei reduci, in particolare italiani, jugoslavi e greci, è stata drammatica: gli ordini venivano dati prima con calma, poi ripetuti in tono rabbioso, infine urlati e accompagnati da calci e pugni "come si farebbe a un sordo, o meglio con un animale domestico, più sensibile al tono che al contenuto." A Mauthausen il nerbo di gomma si chiamava «der Dolmetscher», l'interprete.
Ai giovani nazisti era stato martellato in testa che esisteva al mondo una sola civiltà, quella tedesca. Perciò, chi non capiva né parlava il tedesco era un barbaro; se si ostinava a cercare di esprimersi nella sua “non-lingua”, bisognava farlo tacere a botte e rimetterlo al suo posto, a tirare, portare e spingere, poiché non era un "Mensch", un essere umano.
 I primi giorni di prigionia non possono essere che ricordati come "un film sfuocato e frenetico, pieno di fracasso e di furia e privo di significato: un tramestio di personaggi senza nome né volto annegati in un continuo assordante rumore di fondo, su cui tuttavia la parola umana non affiorava". Nel Lager senza informazione non si vive . Senza comunicare non si può sopravvivere. Chi non capisce il tedesco, intendendo con tedesco quella sorta di lingua parallela propria dei lager e solo vagamente somigliante a quello originario, rischia di "annegare nel mare tempestoso del non-capire". Ed il non-parlare ha effetti devastanti sull'individuo, perché "insieme alla lingua ti si secca il pensiero" e si realizza la crudele volontà di rendere l'uomo una bestia. C’era un tentativo di comunicazione anche con il mondo esterno al lager, disperatamente cercato, che dava a molti una sorta di speranza; si cercavano notizie dai prigionieri nuovi, si leggevano brandelli di vecchi giornali trovati casualmente e, sebbene fosse vietata la corrispondenza, venne da alcuni (tra i quali lo stesso Levi, che riconosce di dovere anche a questo la sua sopravvivenza) trovato il modo per comunicare con i familiari.

CAP. V   Violenza inutile 
"Il titolo di questo capitolo può apparire provocatorio o addirittura offensivo: esiste una violenza utile? Purtroppo sì. La morte, anche non provocata, anche la più clemente, è una violenza, ma è tristemente utile: un mondo di immortali non sarebbe concepibile né vivibile. Anche l’assassinio ha uno scopo: chi uccide sa perché lo fa."  Non così la violenza disumana e ridondante del Lager. La sequenza di umiliazioni e offese gratuite inizia già dal metodo di deportazione: enormi carri merci, tuttavia non abbastanza grandi per il numero di persone stipate in essi per numerosi giorni senza cibo, acqua o una latrina. Il prigioniero, una volta entrato nelle fredde stanze del Lager,  veniva denudato, privato delle scarpe e di tutti gli oggetti personali, subiva  il taglio dei capelli e di tutti i peli. Al di là della necessità di maggiore pulizia, questa violenza risultava offensiva perchè collettiva e  inutilmente ripetuta. Un uomo nudo e scalzo è umiliato e inerme. La stessa impotenza era provocata, nei primi giorni di prigionia, dalla mancanza di un cucchiaio, un dettaglio solo apparentemente  marginale per un uomo che si nutriva ogni giorno di una sola misera razione di zuppa.
La vita concentrazionaria ricalcava la  versione militare tedesca con regole ferree quanto insulse, come i 5 bottoni obbligatori alla divisa e la marcia cadenzata. I prigionieri venivano usati come cavie umane per esperimenti scientificamente inutili che venivano risparmiati agli animali perché troppo dolorosi. Vi è poi l’invenzione auschwitziana  del tatuaggio, operazione, in sé, non tanto dolorosa, quanto umiliante : "Questo è un segno indelebile, di qui non uscirete più; questo è il marchio che si imprime agli schiavi ed al bestiame destinato al macello, e tali voi siete diventati. Non avete più nome: questo è il vostro nuovo nome." La violenza del tatuaggio era gratuita, fine a se stessa, pura offesa. Era anche un ritorno barbarico: il tatuaggio, infatti, è vietato dalla legge mosaica. Violenza inutile era poi il lavoro non retribuito ed inflitto come una tortura e che poteva portare alla morte. Non bisogna poi dimenticare quello che fu l'esempio estremo di una violenza ad un tempo stupida e simbolica: l'empio uso del corpo umano, gli esperimenti medici. E tale crudeltà si estendeva anche al cadavere, alle spoglie umane dopo la morte.

CAP. VI  L'intellettuale ad Auschwitz 
In questo capitolo l'autore analizza l'esperienza dell'uomo colto alle prese con la realtà concentrazionaria. A tal proposito si rifà esplicitamente all'opera di un filosofo ebreo morto suicida: Hans Mayer, alias Jean Améry (Un intellettuale ad Auschwitz). Améry fu prigioniero in diverse prigioni naziste, ma le sue osservazioni si limitano ad Auschwitz: "I confini dello spirito, il non-immaginabile erano là."- Essere un intellettuale era in quel luogo di morte un vantaggio o uno svantaggio?-, si domanda Levi. Sul lavoro, che era prevalentemente manuale, in generale l'uomo colto stava in Lager molto peggio dell'incolto. Gli mancavano la forza fisica e la familiarità con gli attrezzi e l'allenamento, oltretutto, era tormentato più pesantemente da un acuto senso di umiliazione. Anche la vita in baracca era più penosa, poiché era una guerra continua di tutti contro tutti: i colpi dei tedeschi potevano essere passivamente accettati, ma quelli di un compagno, cui raramente l'uomo civile sapeva reagire, erano inaspettati e inaccettabili. Anche Améry, come Levi, afferma poi di aver sofferto per la mutilazione del linguaggio e ne ha sofferto ancora di più perché era di lingua tedesca, perché era un filologo amante della sua lingua. La cultura non poteva dunque servire che in qualche rara occasione (come per esempio nel caso del nostro autore, che fu salvato, oltre che dal caso, anche dal suo mestiere di chimico); ciononostante, in quelle poche situazioni la cultura poteva dare un forte aiuto, certo non dal punto di vista prettamente fisico, ma di sicuro moralmente: "Mi permettevano –i ricordi- di ristabilire un legame con il passato, salvandolo dall’oblio e fortificando la mia identità. Mi convincevano che la mia mente, benché stretta dalle necessità quotidiane, non aveva cessato di funzionare.[...]. mi concedevano una vacanza effimera ma non ebete, anzi liberatoria e differenziale: un modo, insomma, di ritrovare me stesso."

CAP. VII   Stereotipi 
Sono da sfatare gli stereotipi di “prigionia- libertà” e “oppressione- ribellione”. Nei campi non c’erano persone che si sentissero lese in un diritto fondamentale come la libertà e quindi fossero automaticamente pronte ad organizzarsi per ribellarsi ed evadere. Erano persone umiliate, deboli, annullate, senza un retroterra nel quale rifugiarsi, senza più alcun contatto col mondo esterno. La fuga era punita immancabilmente non solo con la morte ma con torture atroci per i rei e per i compagni anche se estranei al fatto. Inoltre la storia dimostra che le ribellioni vittoriose hanno avuto sempre dei capi che possiedono forza morale e fisica, nessuno schiavo ha sconfitto il padrone; nei Lager   la ribellione era impossibile, e alcune comunque vi furono. Altro stereotipo: l’idea di “patria”. Gli ebrei non fuggirono prima della deportazione in massa, non abbandonarono le loro case, la loro città, la loro vita di sempre, perché quella era la loro “patria”: era per loro un legame molto più forte in quei tempi, probabilmente, soprattutto in Germania, di quanto non lo sia ora, ed erano disposti a tutto pur di rimanere nella propria patria; certo non prevedevano cosa sarebbe successo, tutti avevano sottovalutato la gravità dell’antisemitismo nazista. Anche oggi gli allarmi ecologici, per esempio, non bastano a far cambiare abitudini di vita alla gente, e ciò dovrebbe farci  capire che vivere i fenomeni dal di dentro è diverso dall’esserne spettatori esterni una volta che tutto è passato da tempo.   



CAP. VIII  Lettere di tedeschi 
L'ultimo capitolo è riservato dall'autore ad alcune lettere da lui ricevute in seguito alla traduzione tedesca di Se questo è un uomo. Racconta la sua iniziale diffidenza nella proposta di un’ edizione rivolta ai responsabili delle sue sofferenze, per paura che la sua opera venisse cambiata o ridotta, timore svanito dopo uno scambio epistolare con l’editore. Prosegue poi liquidando la lettera di due coniugi di Amburgo che giudica "nazisti non fanatici ma opportunisti, pentitisi quando era opportuno pentirsi, stupidi quanto basta per farmi credere alla loro versione semplificata della storia moderna", infine con alcune altre lettere di giovani che hanno invece sollevato domande e questioni in modo più mirato e meditato e di Hety S. di Wiesbaden che molto lo aveva colpito con l’espressione di una giovane donna tedesca che aveva vissuto in Germania non consenziente all’ideologia ed ai crimini nazisti.

CONCLUSIONI
Il mondo è profondamente mutato, l'Europa non è più il centro del pianeta, gli imperi coloniali hanno ceduto alla pressione dei popoli d'Asia e d'Africa assetati d'indipendenza, la Germania è diventata «rispettabile» e di fatto detiene i destini dell'Europa. Parlare  ai giovani dei lager nazisti è sempre più difficile; essi sono assillati dai problemi d'oggi, diversi, urgenti: la minaccia nucleare, la disoccupazione, l'esaurimento delle risorse, l'esplosione demografica, le tecnologie che si rinnovano freneticamente ed a cui occorre adattarsi. Si affaccia all'età adulta una generazione scettica, priva non di ideali ma di certezze; disposta invece ad accettare le verità piccole, mutevoli di mese in mese sull'onda convulsa delle mode culturali, pilotate o selvagge. Per i reduci è un dovere continuare a parlare, ma lo percepiscono insieme come un rischio: il rischio di apparire anacronistici, di non essere ascoltati. “Dobbiamo essere ascoltati.
Siamo stati collettivamente testimoni di un evento fondamentale ed inaspettato, fondamentale appunto perché inaspettato, non previsto da nessuno.E' avvenuto contro ogni previsione. E' avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire. Può accadere, e dappertutto. La violenza, «utile» o «inutile», è sotto i nostri occhi: serpeggia, in episodi saltuari e privati, o come illegalità di stato.(...) Attende solo il nuovo istrione (non mancano i candidati) che la organizzi, la legalizzi, la dichiari necessaria e dovuta e infetti il mondo”.
Pochi paesi possono essere immuni da una futura marea di violenza, generata da intolleranza, da libidine di potere, da ragioni economiche, da fanatismo religioso o politico, da attriti razziali. Occorre quindi affinare i nostri sensi, diffidare dai profeti, dagli incantatori, da quelli che dicono e scrivono «belle parole» non sostenute da buone ragioni.
Agli stereotipi passati in rassegna nel settimo capitolo bisogna aggiungerne uno. I giovani chiedono, tanto più spesso e tanto più insistentemente quanto più quel tempo si allontana, chi erano, come erano fatti gli «aguzzini» dei Lager. Il termine fa pensare a individui distorti, nati male, sadici, affetti da un vizio d'origine. Invece erano esseri umani medi, mediamente intelligenti, mediamente malvagi: “salvo eccezioni, non erano mostri, avevano il nostro viso, ma erano stati educati male. Erano, in massima parte, gregari e funzionari rozzi e diligenti: alcuni fanaticamente convinti del verbo nazista, molti indifferenti, o paurosi di punizioni, o desiderosi di fare carriera, o troppo obbedienti. Tutti avevano subito la terrificante diseducazione fornita ed imposta dalla scuola quale era stata voluta da Hitler e dai suoi collaboratori.” Persone “normali” divenute “mostri” solo perché obbedienti ad un’educazione sbagliata, a regole imposte a cui non hanno saputo reagire criticamente. “Ed è altrettanto chiaro che dietro la loro responsabilità sta quella della grande maggioranza dei tedeschi, che hanno accettato all'inizio, per pigrizia mentale, per calcolo miope, per stupidità, per orgoglio nazionale, le «belle parole» del caporale Hitler, lo hanno seguito finché la fortuna e la mancanza di scrupoli lo hanno favorito, sono stati travolti dalla sua rovina, funestati da lutti, miseria e rimorsi, e riabilitati pochi anni dopo per uno spregiudicato gioco politico”.