domenica 6 aprile 2008

la sarda rivoluzione: GIOMMARIA ANGIOY



4 Giommaria Angioy

Nacque a Bono il 21 ottobre 1751, visse nel periodo sabaudo del Regno di Sardegna.
Intraprese gli studi a Sassari nel convitto nazionale del Canopoleno dove conseguì il magistero di Filosofia ed Arti.
Trasferitosi a Cagliari si laureò in “utroque jure”,divenendo dottore in legge a soli 20 anni. Nel maggio del 1789 fu professore di Diritto civile nell’Università e poi giudice nella Reale Udienza.
La sua grande stagione politica ebbe inizio all’indomani della fallita invasione francese e, soprattutto, dopo l’insurrezione del luglio 1794 che portò alla cacciata del viceré piemontese e che diede tutto il potere alla Reale Udienza. Egli era l’anima e il capo del partito democratico riformista e divenne ben presto il punto di riferimento dei patrioti rivoluzionari.
Il 3 febbraio 1796 venne nominato dal nuovo viceré Vivalda (che aveva sostituito il Balbiano dopo la sua caccaiata) suo Alternos con pieni poteri civili, militari e giudiziari, ed inviato nel Logudoro per calmare i disordini. Dopo molte titubanze l’Angioy partì da Cagliari il 13 febbraio, con poca scorta, a cavallo.
Per raggiungere Sassari sarebbero stati sufficienti pochi giorni di viaggio, invece ne trascorsero quindici: ovunque accolto con dimostrazioni di simpatia, fatto sostare per rendersi conto dello stato e dei bisogni delle popolazioni, apparve come un redentore ed accese molte speranze. Dappertutto giudicava le cause pendenti tra vassalli e feudatari, discuteva le questioni locali, dirimeva controversie, dava suggerimenti. Ogni villa, a mano a mano che avanzava, voleva fargli omaggio di una scorta. Quando giunse alle porte di Sassari il suo seguito era imponente, nella maggior parte costituito di cavalieri armati.

Il 28 febbraio Angioy entrò trionfalmente a Sassari, per porta sant'Antonio, avvolto nel suo mantello rosso, mentre le campane suonavano a festa, seguito da oltre mille cavalieri che si erano uniti a lui nella sua marcia attraverso l’isola, accolto da ali di popolo che lo acclamava: “viva Angioy, viva l’Alternos, non più duchi, non più marchesi e baroni, cadano preti e frati, bando ai traditori, viva la Nazione sarda, viva la libertà!”. Anche il Capitolo della Cattedrale, coi paramenti corali, aveva atteso l’alternos nella gradinata del Duomo intonando il Te Deum.
Nella casa dello zio canonico Arras, dove aveva trovato ospitalità, Angioy riceveva la visita di molti nobili repubblicani. Intanto, come Alternos prima di tutto provvide a riordinare la Milizia e a ricostituire la Reale Udienza nella città. Ridato ordine e tranquillità alla città, egli pensò alle scorte di grano che si erano esaurite, dispose l’esecuzione di lavori pubblici, assorbendo la disoccupazione.
Anche i feudatari ed altri che erano fuggiti cominciarono a rientrare, mentre nei villaggi le popolazioni, deposte le armi, erano tornate al lavoro, sempre decise comunque a non pagare i diritti feudali.

Ciò fu motivo di un vivace scambio di corrispondenza tra l’Angioy e il viceré che insisteva perché i vassalli venissero costretti a pagare, ma l’Angioy faceva rilevare che la missione affidatagli era quella di cercare un accordo tra vassalli e baroni e non di fare l’esattore. Egli era convinto che la soluzione della controversia non potesse essere che il riscatto, così come chiedevano le stesse comunità dei villaggi.
Il suo impegno per reprimere gli abusi feudali indusse i feudatari sardi a screditarlo presso il viceré ed a tramare contro di lui.
L’Angioy pensò allora di compiere assieme ai suoi seguaci una marcia dimostrativa sulla capitale per ottenere l’esplicito riconoscimento dei diritti dei vassalli sardi.
E’ probabile che egli, come farebbe intendere in un suo successivo memoriale, avuto notizia della fulminea offensiva di Napoleone Bonaparte e delle vittorie dei francesi che si susseguirono dal 12 al 22 aprile con le quali l’esercito piemontese era stato completamente battuto, abbia voluto approfittare della debolezza dei Savoia e tentare un atto di forza fidando nell’aiuto dei francesi.

Il 2 giugno lascia Sassari e con una buona scorta che si ingrossa via via , scende nel Logudoro verso il Marghine puntando su Macomer, dove deve affrontare con i suoi 5000 uomini a cavallo la resistenza degli abitanti del villaggio. Di qui scende a Santulussurgiu e raggiunge l’8 giugno Oristano.
Solo ora apprende la conclusione della guerra in Piemonte, con l’armistizio di Cherasco (28 aprile) al quale seguirà la pace di Parigi (15 maggio).
Dirà nel suo memoriale scritto in esilio che: “se la guerra del ’96 fosse continuata due settimane di più, la Sardegna sarebbe stata libera sotto la protezione della Repubblica francese “.

l’Angioy giunto ad Oristano scrisse subito al viceré per un abboccamento, per esporre i motivi dell’agitazione delle comunità del Logudoro: in caso di rifiuto minacciava la separazione del distretto del Logudoro.
A questo punto gli stamenti, timorosi di un’azione rivoluzionaria, inoltrarono un’istanza al viceré per la destituzione dell’Angioy da alternos dichiarando lui e i suoi seguaci ribelli alla monarchia.
Dopo aver atteso il 9 e il 10 una risposta del viceré, che invece lo aveva destitutuito, Angioy aveva creduto opportuno abbandonare la città, anche per evitare i saccheggi dei suoi uomini, in buona parte privi di vettovaglie.
Dopo uno scontro sul ponte del Tirso con gli oristanesi che, irritati per i ripetuti saccheggi, si erano uniti alle truppe inviate dalle autorità cagliaritane, l’Angioy , ormai sfiduciato, decise la ritirata.
Rientrò a Sassari con pochi fedelissimi la sera del 15, e la popolazione, che era all’oscuro dei provvedimenti viceregi, lo accolse con acclamazioni.

Imbarcatosi a Porto Torres su un veliero diretto ad Aiaccio, allo scopo di evitare l’arresto, dalla Corsica passò a Livorno e poi a Genova.
Andò a Torino, con l’intento più che difendersi di accusare il viceré e gli stamenti. Ma la Segreteria di Stato ed il re non potevano certo accogliere le ragioni dei vassalli sardi contro i feudatari. Le repressioni, gli arresti e le impiccagioni sarebbero continuate in Sardegna. Sembra inoltre che si pensasse di assassinare l’Angioy.
Così Giommaria Angioy preparò la fuga. Riuscì ad allontanarsi da Casale, dove dimorava durante l’istruzione della sua causa, e si imbarcò a Genova per raggiungere la Francia, dove morì esule nel 1808.


In Sardegna la repressione fu dura e sanguinosa: i villaggi di Thiesi, Bono, Tissi, Osilo, Bessude, Banari, Usini, Santulussurgiu furono tra quelli più colpiti dall’intervento repressivo delle truppe. Molti furono i morti negli scontri, molte le condanne capitali, moltissimi gli arresti.

Sassari fu il principale teatro della spietata punizione dei seguaci dell’Angioy: il giudice Giuseppe Valentino fece impiccare l’avvocato Gavino Fadda, Antonio Vincenzo Petretto e Antonio Maria Carta nel 1796, l’avvocato Gavino Davilla e il medico Gaspare Sini nel 1797, mentre veniva arrestato il parroco di Semestene, don Murroni; nel 1802 verrà condannato Francesco Cilocco che era tornato dalla Corsica per un nuovo tentativo di sollevare le popolazioni.